Street Art: strada, wynwoood o musei?
Dove si realizza e quando smette di essere arte di strada? Può entrare nei musei o può avere una committenza? Tante le domande che gli street artist si pongono. Ecco le risposte....
di Giuditta Giardini
5' di lettura
“I miei lavori devono morire nel momento stesso in cui la Città decide di distruggerli” scriveva BLU, qualche anno fa rispondendo all'uomo che diceva di aver “salvato”, “Ness” soprannome dato ad una sua opera su pannelli antirumore nel bolognese, esposta a Torino nella mostra “ Street Art in Blu”, Teatro Colosseo, chiusa il 29 settembre scorso. Se l'arte di strada e i graffiti sono effimeri, come si educa il grande pubblico a questo genere?
Street Art nei musei. “Per non farne perdere la memoria si potrebbe pensare di accogliere la Street Art nei musei” sostiene Blub (l'artesanuotare) , artista famoso per mettere i grandi soggetti dell'arte sott'acqua (esposto di recente al Mann di Napoli ). Molti musei stanno optando per aggiungere questo genere alle loro collezioni per essere “più inclusivi”. Eppure artisti come Ozmo , il Piero della Francesca della (street) arte italiana, obietterebbero che quella che entra nel museo non è più Street Arte, ma è arte contemporanea a tutti gli effetti. Blub concorda con Ozmo: “la Street Art nel museo non perde la sua valenza artistica, ma ne assume una nuova: come insegna Duchamp anche un oggetto comune se messo in un museo acquista un altro significato e valore”. Il problema dell'entrata dell'arte di strada nel museo riguarda la perdita dell'immunità che la strada garantisce. Se in strada i marchi registrati ed immagini possono essere usati senza licenze e problemi relativi ai diritti d'autore, tutto cambia dentro musei e gallerie dove vige, anche per la Street Art, la dura lex. E poi la strada è immediata: “se hai l'urgenza di dire qualcosa, farti sentire e condividere la via più efficace è la strada” afferma Blub.
Tra i pregi dell'ingresso della Street Art nel museo c'è, ovviamente, la fama che consegue la consacrazione e il fattore economico. “Ancora non siamo in grado di vivere d'aria o d'acqua” ironizza Blub che ha fatto dell'acqua l'elemento chiave dei suoi lavori. Se un artista di strada decide di non piegarsi alle logiche del mercato, non potrà vivere solo della sua arte che resterà un hobby per il dopo-lavoro, oppure potrà seguire l'esempio di BLU che oggi lavora solo per i centri sociali e - secondo alcuni - vive in un camper con cui viaggia il mondo.
Il Modello Wynwood. Un compromesso che fa discutere, a metà via tra la strada ed il museo, è il modello Wynwood, il più grande museo a cielo aperto dedicato alla Street Art, che prende il nome dal quartiere di Miami, di proprietà della famiglia Goldman, magnati dell'imprenditoria edilizia e patroni dell'arte di strada, che a New York hanno lanciato il Bowery Mural (Houston Street), punto di riferimento per l'arte urbana locale. Abbiamo chiesto a due dei maggiori esponenti della Street Art italiana cosa ne pensano di questo modello. Secondo ZED1 : “A Wynwood gli artisti si scannano per avere un po' di spazio e i galleristi pagano i proprietari dei muri per avere i loro artisti rappresentati, questo ha fatto di Wynwood una patetica vetrina”. Un altro problema connesso con questo modello è legato all'aspetto economico. “Il 90% degli artisti che dipingono a Wynwood lo fanno gratis e in molti casi si pagano pure viaggio, colori e albergo” dice ZED1. Lo sa bene OZMO, artista più volte ambasciatore della cultura italiana a Wynwood, a cui è stato commissionato in occasione dei festeggiamenti dell'ambasciata italiana a Washington un murales 6 x 23 metri. Per lui: “Wynwood è una trovata imprenditoriale per rivalutare l'area dell'omonimo distretto, fenomeno noto come ‘gentrificazione'”.
Come si scrive “gentrificazione”? “Ogni volta che sento la parola ‘rigenerazione urbana' metto mano alla bomboletta” commenta Ozmo nel suo studio di Brera, dove è solo di passaggio perché ora è fisso a Parigi, città più sensibile alla sua arte. “Non so se la gentrificazione sia un fenomeno positivo o negativo” risponde Ozmo al Sole 24 Ore “certamente se un artista contribuisce alla rinascita di un quartiere dovrebbe vedersi riconosciuto qualche merito”, insomma non solo gloria, ma anche pecunia. Ozmo vorrebbe un “riconoscimento retroattivo del valore dell'arte che ha permesso la gentrificazione in determinate zone urbane (più o meno volontariamente)”, una sorta di diritto di seguito della Street Art, perché per l'artista senese, “l'arte ha un ruolo più complesso del semplice arredo per rigenerare le zone depresse. Ha un valore a prescindere, non solo come mezzo per un fine”. Ozmo non si riferisce solo a 5pointz, Bushwick o Wynwood negli Stati Uniti, quando parla di gentrificazione guarda Lambrate, Isola o Ticinese, quartieri di Milano. “Qui la gentrificazione delle aree urbane, avvenuta grazie alla Street Art, ha permesso pesanti investimenti immobiliari, con la conseguenza che ora dove c'erano centri sociali ci sono solo appartamenti di lusso”.
Le committenze. “I comuni si servono del lavoro degli street artist per riqualificare le periferie (l'abbiamo visto a Roma e a Torino) e lo fanno mediante l'indizione di bandi a cui partecipano associazioni appaltatrici che fungono da tramite con gli artisti. Invece le grandi aziende utilizzano l'intermediazione delle agenzie di comunicazione” spiega Chiara Canali che dal 2012 cura l'evento di arte urbana StreetScape per il comune di Como e dal 2016 è direttore artistico del festival Parma 360 Festival della creatività contemporanea . Oggi lo street artist concorda il suo lavoro a colpi di clausole contrattuali. “Nei contratti ci si accorda sulle modalità del lavoro, le mansioni e il compenso, talvolta sono incluse clausole relative alla durata dell'opera sul muro, ma questo dipende dalla qualità dell'intonaco e dai colori usati (lo spray dura più degli acrilici e delle tempere)” spiega Canali. “Pagare uno street artist per una facciata costa meno che chiamare una ditta di ristrutturazione o di imbianchini in Italia, circa 100.000 €, se un comune si interfaccia con un'associazione culturale e questa con l'artista la spesa sarà dai 20.000-30.000 o 50.000 € al massimo. Invece le aziende che si affidano ad agenzie di comunicazione pagano di più, le agenzie non si limitano al gettone ma duplicano il mark up”.
Quali sono le aziende che negli ultimi anni si sono prodigate per la street art?
•Il gruppo Eni (offerta eni3 ) e TBWA\Italia si sono avvalsi della collaborazione dell'artista Miss Nais.
• Heineken , durante Art Basel 2012 (Miami) e il G40 Art Summit, ha lanciato il suo Heineken Mural Project ad Atalanta chiamando celebrità della Street Art.
•Nel 2016, Sprite di Coca-Cola aveva lanciato a Milano (navigli) un contest “ Refresh the City ” a cui avevano partecipato gli artisti Mr. Wany, Etsom e Mate.
• OZMO ha appena terminato una collaborazione con Campari , Esplon in zona Ticinese (Milano)
Le difficoltà della Street Art. Secondo Frode , professionista ibrido, metà street artist e metà avvocato penalista e membro della Commissione per il Diritto e l'Arte dell'Ordine Avvocati di Milano: “quest'arte è problematica per l'amministrazione. Persino un progetto come “ cento muri liberi per la street art ” con cui si mettevano a disposizione di street artist e writer muri bianchi nel milanese ha fatto discutere. Alcuni artisti hanno inteso questa iniziativa come limitante, come se si volesse costruire un ghetto, invece di promuovere i loro pezzi, come il Comune si prefiggeva di fare”. La Street Art è anche ostile alla legge: nasce illegale e resta indecifrabile per il diritto, è slegata dalle logiche della responsabilità perché figlia dell'anonimato. Infine, persino il mercato non capisce quest'arte, non sa come determinarne il valore. Se quella in asta non è Street Art e la Street Art è solo site-specific, come possiamo valutare i murales senza ricadere in una valutazione generale dell'area urbana in cui l'opera è stata concepita? Sarebbe eticamente giusto pagare una royalty agli artisti che hanno permesso la gentrificazione delle periferie?
Con la collaborazione di Giuliana Giorgi
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