Stregati da Kimolos, l’isola d’argento
Spiagge caraibiche e mare smeraldo in cui nuotano anche foche monache e tartarughe marine: il turismo (per pochi) in una delle Cicladi più remote
di Maria Luisa Colledani
4' di lettura
Un’oasi d’argento nell’Egeo dorato del mattino. Kimolos, che i Veneziani chiamavano Artzentiera, cioè l’isola d’argento, probabilmente per i grigi metallici che vedevano, è un bagno di luce, quella luce greca, materna e spudorata. La Chora - qui è Choriò - è un abbraccio di case bianche, un dedalo di vie sghembe, dominato dalla chiesa della Agia Odighitria, la “santa che mostra la via”. Libri alle pareti, barchette di latta a colorare il bianco e, se fa caldo, meglio sedersi al caffè Stavento per un gelato alla mastika o due chiacchiere con gli amici Dimitri, Niki e Mary. La piazzetta è una delle tante di quest’isola delle Cicladi, a Nord-Est di Milos, che vive di turismo sì (ed è Covid-free da settimane con tutti i suoi 500 abitanti già vaccinati), ma appena accennato, e di estrazioni minerarie. Bentonite, pozzolana, perlite e caolinite sono ricchezza, e anche Strabone ricorda la cimolite di Kimolos nella sua Geografia, usata nelle formulazioni farmaceutiche e cosmetiche per purificare il corpo o per lavare i vestiti (i cretesi sbiancavano i loro filati).
Spiagge caraibiche
Oggi l’anima vulcanica dell’isola regala spiagge caraibiche: la sabbia è un borotalco e le acque sono smeraldo puro, come a Prassa nell’estremo Nord. Un tuffo nel blu e poi, se lo stomaco reclama, una sosta a Prassonissi, un chilometro prima per gustare lo xino, il formaggio morbido di capra.
La natura è pura e la costa meridionale incantevole. Spiagge per ogni gusto e, se la fortuna e il silenzio son desti, anche l’avvistamento di foche monache e tartarughe marine: l’ambiente è incontaminato e l’Associazione dei Kimolistes lavora per preservarlo e valorizzarlo. Come vuole fare anche il progetto visuale Insulae della fotografa Anna Breda e del videomaker Fabio Petronilli (@insulae_insulae): con le loro immagini, stanno documentando il mondo, l’antropologia, il turismo sostenibile delle isole più remote del Mediterraneo, fra cui Kimolos. Perché, che cosa c’è di più grande di una piccola isola?
Le cartoline a Kimolos non mancano: Goupa, con il suo elefantino di roccia, e i syrmata blu, dove i pescatori abitano e “parcheggiano” le barche, ti avvolge di pace; a Psathi, il porto principale (tutto è relativo!), a una giornata di relax e nuotate, si abbinano le grigliate di pesce fresco o il polipo con la salsa caramellata (super) alla taverna To Kyma e le dolcezze di Raventi. Ancora bellezza ad Aliki, e prelibatezze alla taverna Sardis, o lungo la falce di mare a Bonatsa o Kalamitsi.
Basta poco per innamorarsi: sembra che questo teatro - vento incluso - sia lì per te e una parete di Kimolos lo ricorda con il suo murales: “Kimolos mou, paradise mou”. E se vorrete altra meraviglia, a poche miglia marine - basta un’escursione in giornata - c’è l’isola di Polyaigos, abitata da una sola persona, un pastore che si prende cura dell’unica chiesetta: cielo e mare si confondono, e le falesie di roccia candida paiono camminare sulle acque.
Tra le vie strette di Choriò
Sul far di sera, è tempo di rientrare a Choriò (lo scooter è perfetto per muoversi). Gli anziani chiacchierano davanti casa, si accendono i caffè sulle note struggenti del rebetiko, i bambini giocano a pallone, i piccoli negozi si aprono: Arzantiera Art Gallery e Arzantiera Boutique non passano inosservate. Stile minimalista, oggetti d’arte, accessori, ceramiche che parlano d’antico e moderno. Poi, perdersi fra le vie e arrivare al Kastro. Costruito fra XIV e XVI secolo, avrebbe bisogno di restauri ma le storie di pirati, veneziani e turchi, ne fanno un posto struggente. Come lo è Kali Kardia: Apostoli, il proprietario con il suo volto furbetto e indagatore, ti offre stufato di capra al limone o manoura (formaggio secco nel mosto d’uva).
Le strade semibuie sono scoperta e sorpresa: c’è Nikos, il farmacista, che prescrive farmaci e cura con un buon caffè espresso italiano, lascito della sua laurea all’Università di Bari, c’è Kostas, 20 anni e 600 alveari, che vende il suo miele all’erica o al timo. A Choriò, come in alcuni altri punti dell’isola, dalle vie, dalle pareti, dalle nicchie di alcuni studios guizzano polipi bianchi e blu stilizzati e molto pop: sono le creazioni artistiche di Igor Borisov (@igorborisov__), fotografo francese di fama internazionale, che da vent’anni vive qui parecchi mesi, facendosi ispirare da una natura che ammicca, compiaciuta. E che sussurra riflessioni, come quelle del filosofo Stelios Ramphos, le cui origini affondano proprio a Kimolos.
Verso Skiadi: sentieri per tutti
Il mare, certo, e sentieri ben tracciati, come quello che porta a Skiadi, immenso fungo di roccia modellato dal vento, ombrellone perfetto per la canicola, o quello che arriva alla spiaggia più intima, Soufi, a Nord. Camminate e sarete premiati. Anche nell’ammirare gli xerolithia, i muri a secco dichiarati patrimonio Unesco, che delimitano colline e possedimenti terrieri. Prendete tempo, date tempo a Kimolos per svelarsi.
Le evidenze archeologiche testimoniano la presenza umana fin dal tardo Neolotico. Nell’antichità, l’isola, per il sottosuolo e i suoi fichi, era snodo di commerci e traffici: faceva parte della Lega delio-attica e le sue strutture erano modellate sulla democrazia ateniese. C’erano una boulé e un demos e l’autorità era esercitata da tre arconti e tre tesorieri, come testimonia il decreto scolpito su una lapide, conservata nel museo archeologico, che lo scorso ottobre si è arricchito di una preziosa statuina di Pandurodos, un suonatore di pandura (precursore del liuto), trovata alla spiaggia di Psathi da Maria Palamidis e databile all’età ellenistica.
Immersi nella civiltà classica
Di quella civiltà resta poco ma ancora ben visibile. Basta farsi guidare dal blu: un bagno alla spiaggia di Mavrospilia, a Hellinika o nella piccola isola di Agios Andreas. I resti della città di età classica e gli avelli delle tombe sono sommersi dall’acqua perché isola e terraferma erano un tutt’uno in antico, probabilmente separate da un qualche evento sismico. La storia, impavida e potente, ribolle sotto i piedi e, mentre il cielo diventa una spremuta d’arancia, tornano con la risacca i versi eterni di Saffo, tradotti da Salvatore Quasimodo e colonna emozionale del film Mediterraneo: «Un esercito di cavalieri, dicono alcuni, / altri di fanti, altri di navi, / sia sulla terra nera la cosa più bella: / io dico, ciò che si ama».
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