Stress, ansia, concentrazione: come migliorare in cinque passi
Nel campo da gioco come nella vita, nella performance sportiva come in quella professionale. Due allenatori molto diversi ci spiegano come imparare a gestire se stessi e i propri obiettivi
di Serena Uccello
3' di lettura
Cinque, ovvero cinque passi nello sport come nella vita per contenere lo stress, gestire la concentrazione e l’ansia, puntare dritti ai propri obiettivi. Un percorso di grande attualità soprattutto in questo momento, in cui spesso vita e lavoro si fondano e le dinamiche dell’ansia impattano in modo più dirompente sulla qualità dell’una e dell’altro. Abbiamo chiesto a due “allenatori” di guidarci. Ed eccoli sono due coach, uno nello sport ed è Francesco Chiappero, allenatore di molti campioni in particolare di atleti disabili, il più famoso Alex Zanardi, e fondatore di Reaction; l’altro è colui che ha introdotto il Coaching in Italia dagli Stati Uniti : Claudio Belotti, fondatore della società Extraordinary («Perché tutti in qualche modo siamo straordinari, tutti abbiamo un talento», dice). Iniziamo, dunque, con Chiappero e Belotti questo ideale percorso di auto-training.
Primo passo: chiarezza sul desiderio. Ovvero la risposta alla domanda: cosa vogliamo. Dice Chiappero: «Bisogna avere un obiettivo chiaro, uno-due obiettivi, al massimo, all'anno. E poi selezionare quelli più piccoli, diciamo così di secondo livello, che servano anche a testare quelle abilità necessarie al raggiungimento del macro-risultato. Dopo, si procede con l'organizzazione del lavoro, cioè con la programmazione». Obiettivo chiaro e fedeltà alla tabella di marcia: «L'aspetto più complicato è restare fedeli al piano di lavoro che ci si è fissati. La tentazione di derogare o rinviare è sempre in agguato. Quindi mantenere la forza emotiva e il convincimento di stare facendo la cosa giusta», aggiunge Belotti.
Secondo passo: la motivazione. «Il divertimento è fondamentale», dice Chiappero. «Tuttavia l'accettazione di un programma di lavoro, che può essere massacrante, funziona se gli obiettivi stimolano l'immaginario».
Terzo passo: il ruolo dell'allenatore: «Io indico solo la strada, affianco l'atleta, è lui a vincere». Al lottatore, dunque, la fatica dello scontro, all'allenatore la responsabilità della strategia. E il dono della lucidità, esattamente come al coach in azienda. «È il motivo per cui mi chiamano», prosegue Belotti. «Hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a migliorare il risultato, non perché quel qualcuno sia più bravo di loro, ma perché dal bordo del campo si può vedere meglio quello che accade dentro». A volte si tratta di aiutare semplicemente a riordinare le idee: rispondere alle domande costringe alla chiarezza. «Il coach è anche questo, è uno specchio, ci fa scorgere ciò che da soli non riusciamo a vedere». Uno specchio che quando serve ci restituisce anche il limite: un limite.
Quarto passo: l'allenamento. Nello sport e nella vita ci si allena con la medesima mentalità. «L’allenamento non è nient’altro che adattamento. Se il fisico viene stressato in qualsiasi direzione, tende a compensare, ad adattarsi allo sforzo. Ecco perché il carico di lavoro, il carico indirizzato allo stress deve tenere conto del recupero, deve essere equilibrato», spiega Belotti. In termini tecnici, chiarisce Chiappero: «L'allenamento ha tre tempi. Che sono: la supercompensazione, la gestione del carico, la gestione delle difficoltà». Non è forse lo stesso nella vita? «Il risultato è la somma di stress e recupero. C'è il momento dell'attività, quello per intenderci del sudore, e il tempo del recupero, quello del riposo quando scendiamo dalla bicicletta, la fasedella supercompensazione. Ed è a questo punto che scatta l'allenamento vero e proprio. Il risultato dipende dall'equilibrio che riusciamo a creare tra queste due componenti».
Quinto passo: l'equilibrio e il raggiungimento del benessere
Dice Belotti: «Dati alla mano, noi lavoriamo meno dei nostri bisnonni, eppure siamo più stanchi, più stressati. Questo perché, a differenza loro, noi restiamo sempre connessi, collegati mentalmente al nostro lavoro. Di fatto riposiamo meno e per noi il rischio di burnout è più alto». Abbiamo smesso di considerare il riposo un valore, importante quanto l'attività. Non solo perché il riposo permette l’equilibrio tra corpo e mente, quindi la qualità della vita, «ma perché, come sanno gli atleti, è nelle fasi di riposo che cresce il muscolo stimolato dall'attività: paradossalmente i grandi manager dovrebbero essere meno operativi degli altri dipendenti, perché devono avere più tempo per pensare». Ma limite vuol dire anche misura, che in concreto significa saper superare le frustrazioni. «Se mi pongo un obiettivo troppo ambizioso la possibilità di essere frustrati è molto alta, quindi è molto alto il rischio di mollare sul piano mentale. Questo non vuol dire che non sia giusto puntare a diventare un campione o che chiunque non possa puntare a diventare il numero uno al mondo: è un diritto di tutti. Serve però misura e gradualità: per questo l'allenatore deve stare molto attento a gestire l'ambizione dei propri atleti», conclude Chiappero.
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