manovra 2020

Stretta sugli ammortamenti delle concessionarie autostradali

Verrà tassato un reddito a cui non corrisponde una reale maggiore ricchezza prodotta

di Maurizio Leo

(Imagoeconomica)

3' di lettura

Tra le disposizioni contenute nella legge di Bilancio 2020 ne è spuntata una relativa alle modalità di “recupero fiscale” degli ammortamenti sui beni gratuitamente devolvibili dei concessionari autostradali che desta non poche perplessità. Le nuove norme prevedono che le quote deducibili di ammortamento non possano eccedere l’1% del costo dei beni destinati a devoluzione gratuita. A prescindere da tutto e a decorrere dal periodo d’imposta 2019.

È una disposizione asistematica e probabilmente incostituzionale. Con una norma unica nel panorama fiscale mondiale (sarà un caso?), si individua un limite forfettario alla deduzione dei componenti negativi senza considerare i tipici elementi di determinazione delle quote di ammortamento deducibili, quali le caratteristiche dei beni e la loro deperibilità economico-tecnica. Per di più la percentuale individuata, oltre che ridotta, è irrazionale (articolo 3 della Costituzione). Non appare individuabile alcun collegamento con i limiti di deducibilità fissati in tema di altri accantonamenti (articolo 107 Tuir), posta la differente finalità delle disposizioni. Sembra che l’unico razionale vada ricercato nella volontà di fare gettito: recuperare risorse anche a costo di disarticolare le regole sulla determinazione del reddito d’impresa, che è un reddito complessivo netto (articoli 75 e 83 Tuir).

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Si tasserà, invece, un reddito non effettivo: tutti gli oneri che eccedono la quota dell’1% diventano non più recuperabili e, quindi, concorrono a formare un reddito a cui non corrisponde una reale maggiore ricchezza prodotta (articolo 53 Costituzione). In effetti, l’onere deducibile per definizione, l’ammortamento sui beni strumentali, diventa un ricavo tassabile. Ciò in spregio alla logica che aveva condotto all’introduzione dell’ammortamento finanziario, finalizzato a realizzare un allineamento tra risultanze di bilancio e fiscali. Inoltre, le quote di ammortamento non dedotte annualmente non dovrebbero essere più recuperabili, neppure in futuro: le concessionarie sono normalmente società di scopo che esauriscono, proprio con la concessione, la capacità di produrre ricchezza e redditi imponibili potenzialmente abbattibili.

Tutto ciò a voler tacere della palese discriminatorietà della disposizione, che si rivolge ad un unico settore, disincentivandone fortemente anche la libertà di iniziativa economica (articolo 41 Costituzione).

Le nuove disposizioni, oltre che asistematiche e forse incostituzionali, non mancheranno di avere pesanti ricadute extra-tributarie. Si stravolge completamente la logica alla base della programmazione degli investimenti (anche per la sicurezza). Peraltro, tratto comune della quasi totalità dei rapporti concessori autostradali in essere è la sussistenza di un obbligo di riequilibrio a carico dello Stato. Qui sembra configurarsi una modifica delle disposizioni fiscali “selettiva” e quindi, in definitiva, delle condizioni contrattuali, che dovrebbe determinare la rivisitazione dei corrispettivi dovuti, quantomeno a titolo di valori di subentro. Quello che è certo è che il profilo di convenienza delle nuove gare si modificherà sensibilmente e che, per effetto di questa disposizione, potrebbero programmarsi, per il futuro, molti meno investimenti per lo sviluppo infrastrutturale.

Il legislatore è chiamato spesso a scelte difficili. Si sa. È per questo che gli è concesso molto in termini di discrezionalità tecnica. Il legislatore, però, non può fare tutto ciò che gli pare, cambiando le regole in corsa, per un unico settore e, soprattutto, dimenticandosi completamente delle ordinarie procedure di determinazione del reddito e della stessa Costituzione. Ciò detto, bisogna uscire dalla logica della penalizzazione e passare a quella dell’incentivo, un incentivo collegato a obiettivi politici chiari. Ad esempio, non sarebbe più logico sostituire una norma irrazionale e forse incostituzionale con una disposizione più intelligente, che utilizzi la leva fiscale per incentivare comportamenti virtuosi (ad esempio, gli investimenti in sicurezza) e disincentivare comportamenti giudicati negativi? Un legislatore attento e autenticamente lungimirante probabilmente farebbe così.

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