Studi non attinenti con il proprio lavoro: lo pensano il 26,9% dei giovani occupati
di Andrea Carli
4' di lettura
Non c’è solo il malessere, già di per sé preoccupante, dei giovani che non trovano un lavoro. C’è anche quello di chi un lavoro l’ha trovato ma non è quello che aveva immaginato. Il rapporto di ricerca “Giovani e accesso al mondo del lavoro: quale futuro”, condotto dal Censis in collaborazione con Jobsinaction e Assolavoro su un campione di mille giovani tra i 25 e i 34 anni, parla chiaro: il 26,9% dei giovani attualmente occupati ritiene che il lavoro che svolgono non abbia alcun tipo di connessione con il proprio percorso di studio di formazione. Il 22,6% degli intervistati pensa che una connessione esista, sì, ma solo marginale. Insomma, una quota importante di giovani lavoratori non fa uso di quelle competenze che ha acquisito negli anni della formazione. E questo è un aspetto. La fotografia scattata dal Censis ne mette in evidenza un altro: il concetto di “posto fisso” ha perso importanza. L’83,5% accetterebbe anche lavori discontinui e precari.
In Italia il record dei Neet
L’altra faccia della medaglia è quella di chi un impiego non ce l’ha. Stando all’indagine 2017 sull'occupazione e sugli sviluppi sociali in Europa (Esde) pubblicata oggi dalla Commissione, in Italia i giovani fra 15 e 24 anni che non hanno e non cercano lavoro (i cosiddetti Neet) sono il 19,9% (contro una media europea dell'11,5%).
L’aumento dell’età per la pensione frena l’occupazione
Questo è il contesto di riferimento. E in questo contesto si inserisce l’indagine del Censis, che fa un passo in avanti: il 46,3% dei giovani interpellati è dell’idea che le ragioni dell’elevato tasso di disoccupazione giovanile vadano cercate in primo luogo nello spostamento in avanti dell’età pensionabile. La seconda motivazione in ordine di importanza è il mancato funzionamento dei meccanismi per l’incontro tra domanda e offerta (38,8% nella media del campione, ma con una forte accentuazione tra i laureati e una sostanziale sottovalutazione tra i giovani a basso titolo di istruzione). Al terzo posto tra i fattori che determinano la mancanza di posti di lavoro c’è, a detta del campione interpellato, la crisi economica e la conseguente riduzione del tasso di assorbimento delle aziende.
Critiche a scuola, pa e sistema formazione professionale
Il 20,2% fa autocritica e pensa che la mancanza di opportunità di impiego sia dovuta ai giovani stessi e alla loro scarsa attitudine ad accettare impieghi di basso profilo. Seguono poi gli “atti d’accusa” rivolti alla scuola, con la denuncia dello scollamento tra istruzione e competenze richieste dalle imprese (19,3% del campione), alla pubblica amministrazione che ha smesso di assorbire forza lavoro (16,5%) e al sistema della formazione professionale (16,4 per cento).
Le skills che contano: le relazioni sono al quarto posto
Nell’avvicinarsi al mondo del lavoro, dicono i giovani, è importante da una parte essere disposti a darsi da fare, dall’altra essere molto determinati rispetto agli obiettivi che si intendono raggiungere. Le percentuali di giovani che ritengono molto importanti queste attitudini sono maggioritarie tra tutte le possibili modalità indicate (67,9% e 66% rispettivamente). Al terzo posto nel “ranking” si colloca il tema dell’aggiornamento continuo delle competenze in relazione alle evoluzioni del mondo del lavoro (60,3%). Sulla rete di relazioni e sulla estensione si concentra circa il 50% degli intervistati, così come sul fatto di avvicinarsi al mondo del lavoro prima possibile. Secondo il 33,6% a fare la differenza è la disponibilità a intraprendere un percorso di formazione altamente specialistica. Il 28,3% punta sul possesso di un diploma di laurea. In generale, tutti questi fattori sono considerati meno importanti se paragonati a “una grande passione o vocazione” (46,5% degli interpellati) e rispetto al fatto di aver fatto esperienze di lavoro durante il percorso di studi (42%).
Servono misure a sostegno delle start-up
Il 33,6% delle persone interpellate ritiene cha a fare la differenza sia la disponibilità ad assumere rischi imprenditoriali, avviando un’attività in proprio. Ecco perché per i giovani del campione le misure a sostegno delle start up innovative hanno un ruolo chiave per il rilancio dell’occupazione, così come un maggior sostegno all’apprendistato e all’alternanza scuola lavoro. «Occorre ampliare in maniera significativa la partecipazione dei giovani alle politiche attive del lavoro, sfruttando meglio i percorsi di apprendistato duale, sostenendo l’alternanza scuola-lavoro e garantendo una maggiore partecipazione a programmi di formazione professionale», sottolinea Annamaria Parente, capogruppo del Pd in Commissione lavoro al Senato e promotrice del portale dedicato al mondo del lavoro Jobsinaction.
Alessio Rossi, presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, ricorda che il movimento ha fatto «una proposta semplicissima: la decontribuzione totale per i giovani neoassunti under30. Queste - aggiunge - non sono politiche per l’impresa ma per le famiglie e quindi per il paese. Serve un segnale forte una misura di forte impatto. Questa crisi ha fatto vittime soprattutto fra i giovani. È il momento di trasformare il problema in opportunità mettendo in campo strumenti coraggiosi per i giovani come investimento per il futuro del paese».
Ripartire dalla fiducia
Il tutto ha un obiettivo: restituire la fiducia. Perché, ricordano i ragazzi, restituire la fiducia a chi per la prima volta cerca un lavoro o a chi il lavoro l’ha perso e ne deve trovare quanto prima un altro è un atto dovuto, un dovere istituzionale e di tutti i soggetti che a diverso titolo contribuiscono a delineare l’immagine dell’Italia del lavoro. Un’immagine che, per quanto riguarda l’impiego dei giovani, oggi è drammaticamente in ombra.
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