Subito un piano di emergenza contro la perdita di apprendimento
Nel dibattito politico si presta grande attenzione ai danni che la pandemia ha inferto al settore produttivo e all’impatto sui conti pubblici delle misure per la ripresa. Assai meno preoccupa il costo dovuto all’assenza di scuola, che rischia di essere il più elevato di tutti e con effetti negativi molto estesi nel tempo
di Andrea Gavosto
3' di lettura
Se la situazione sanitaria non peggiorerà troppo nelle prossime settimane, le scuole riapriranno il 14 settembre: dal lockdown del 5 marzo, oltre sei mesi di chiusura, solo in parte compensata, soprattutto alle superiori, dalla didattica a distanza. Nel dibattito politico si presta grande attenzione ai danni che la pandemia ha inferto al settore produttivo e all’impatto sui conti pubblici delle misure per la ripresa. Assai meno preoccupa il costo dovuto all’assenza di scuola, che rischia di essere il più elevato di tutti e con effetti negativi molto estesi nel tempo.
In Italia non si può calcolare esattamente l’entità della perdita di apprendimenti sofferta dagli studenti. Le prove Invalsi di primavera sono state infatti cancellate: la pandemia è stata una scusa per eliminare un passaggio scolastico particolarmente inviso a molti insegnanti e a una parte della politica, anche nella maggioranza. Questo, però, ci priva dello strumento per misurare il calo degli apprendimenti degli studenti nel 2020, paragonandone i risultati con quelli delle generazioni precedenti. Pare non ci sia intenzione di recuperare i test a settembre: per conoscere la learning loss di quest’anno, dovremo quindi aspettare fino a giugno 2021. Nel frattempo, le analisi in altri Paesi suggeriscono perdite di apprendimenti di circa un terzo per la lettura e della metà per matematica: per l’Onu una vera e propria «catastrofe educativa».
Si può, però, dare un ordine di grandezza della perdita massima di capitale umano, ovvero del valore delle conoscenze e delle competenze riconosciuto dal mercato del lavoro. Con la stessa metodologia della Banca mondiale, insieme a Barbara Romano abbiamo calcolato che i mesi di assenza da scuola possono costare lungo l’arco della vita lavorativa fino a 21mila euro per studente, in termini di minori redditi futuri (si veda Bellettini e Goldstein, “The Italian economy after Covid-19”, presentato sul Sole il 24 luglio). Se moltiplichiamo questa cifra per gli 8,4 milioni di studenti arriviamo a un costo potenziale del coronavirus nei prossimi decenni pari al 10% del Pil, stima che dovrebbe destare enorme preoccupazione.
Come ridurre il costo del lockdown sulla scuola ed evitare nuove perdite? La questione è urgente alla luce degli ultimi dati epidemiologici: la crescita di nuovi contagi in Italia - ancora più grave in Paesi a noi vicini - potrebbe costringere a nuove chiusure degli istituti scolastici. È chiaro che un secondo lockdown integrale metterebbe in ginocchio non solo l’economia, ma anche il futuro di questa generazione di studenti: l’istruzione è un processo cumulativo e se si saltano dei passaggi, questo limita la capacità di imparare in futuro, oltre che di trovare un lavoro soddisfacente e ben retribuito. Un rischio da evitare a tutti i costi.
Sappiamo che in caso di contagi in una scuola, sul da farsi deciderà l’autorità sanitaria. Meno chiaro l’iter in caso di focolai nel territorio. Sarebbe necessario, in ogni caso, predisporre piani di emergenza per evitare la chiusura totale: ad esempio, ampliando il distanziamento sociale (al netto delle imbarazzanti giravolte del Cts in materia), riducendo il numero di studenti per classe, imponendo l’uso delle mascherine, scaglionando di più ingressi e uscite, concentrando l’insegnamento su poche materie essenziali (italiano, matematica, scienze, inglese). E utilizzando la didattica a distanza, oggi un anatema per molti, dentro e fuori la scuola: di sicuro non è un sostituto di quella in presenza ma - impostata con intelligenza e conoscenza tecnica - è uno strumento indispensabile per l’emergenza.
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