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Sudan, paramilitari: controlliamo il palazzo presidenziale. Raid aereo dell’esercito

I paramilitari sudanesi affermano di aver preso il controllo del palazzo presidenziale di Khartoum e dell’aeroporto di Khartoum, mentre vanno avanti da settimane le rivalità tra i due generali dietro il colpo di Stato del 2021. Bloccato nella capitale anche un gruppo di italiani della ong Music for Peace

Aggiornato il 15 aprile 2023 alle ore 19:48

(Afp)

3' di lettura

Un’enorme esplosione è stata udita nella capitale sudanese, mentre l’aviazione sostiene di aver colpito basi paramilitari a Khartoum. Lo riportano vari media tra cui Sky news Arabia. Le forze aeree governative avrebbero distrutto con aerei da guerra un campo appartenente alle forze di supporto rapido nella regione orientale del Nilo. I paramilitari sudanesi affermano di aver preso il controllo del palazzo presidenziale di Khartoum e dell’aeroporto di Khartoum, mentre vanno avanti da settimane le rivalità tra i due generali dietro il colpo di Stato del 2021.

Sudan, un aereo da guerra sorvola la capitale Karthoum

Combattimenti ed esplosioni

In precedenza testimoni hanno riferito di “combattimenti” ed esplosioni nei pressi di un quartier generale dei paramilitari delle Forze di sostegno rapido (RSF) del generale Mohamed Hamdane Daglo nel sud di Khartoum, mentre i giornalisti dell’Afp hanno udito spari nei pressi dell’aeroporto e nei sobborghi settentrionali.

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“Colonne di fumo si levano dall’interno della base aerea di Marawi, fra scontri tra l’esercito e le Forze di supporto rapido (Rsf) nella base e nella capitale, Khartoum”: lo riferisce su Facebook la tv Al Arabiya citando un proprio corrispondente.

Già mercoledì l’esercito aveva rilasciato una dichiarazione in cui avvertiva del pericolo rappresentato dal dispiegamento di forze della Rsf nella città di Marawi (o Merowe), situata vicino a una base aerea dell’esercito nello Stato settentrionale (Northern State), senza un adeguato coordinamento con l’esercito.

L’attrito fra esercito e paramilitari si sta aggravando da mesi, con differenze evidenti nei recenti scambi e controdichiarazioni da entrambe le parti. Il generale Mohamed Hamdan “Hemedti” Dagalo, comandante delle Rsf e vicepresidente del Consiglio sovrano, aveva pubblicamente respinto atti compiuti il 25 ottobre scorso dal presidente dello stesso Consiglio e comandante in capo dell’esercito, il tenente generale Abdel-Fattah Al-Burhan, definendoli un “colpo di Stato”.

Sicurezza e riforma militare

Di recente erano emerse divergenze anche sul processo politico per una transizione alla democrazia basato sull’accordo-quadro firmato il 5 dicembre scorso, in particolare sulle questioni della sicurezza e della riforma militare.

I leader dell’esercito sudanese vorrebbero infatti integrare rapidamente le Rsf nei propri ranghi mentre Dagalo vorrebbe un calendario che potrebbe durare fino a dieci anni. L’Rsf, inoltre, vorrebbe essere sottoposta a una guida civile, riforma che l’esercito rifiuta, e chiede la rimozione di tutti gli elementi dei Fratelli Musulmani dalle forze armate come prerequisito per la riforma. Le dispute tra le due parti su queste e altre questioni stanno ritardando la firma di un accordo finale per passare a un governo civile che era prevista per il primo aprile scorso.

Italiani della ong Music for Peace bloccati a Khartoum

Un gruppo di italiani è bloccato a Khartoum. Si tratta di cinque persone, tra cui un bambino di 8 anni, spiega all’Adnkronos Stefano Rebora, presidente dell’ong Music for Peace. «La situazione è sicuramente tesa», afferma Rebora, che parla dal compound, dalle finestre del quale «abbiamo visto colpi di tank e scontri a fuoco, proprio su Africa Road che porta all’aeroporto».

«Siamo in stretto contatto con l’ambasciata e con l’ambasciatore, che sta facendo un lavoro eccellente», prosegue il presidente dell’ong, notando che gli scontri sono effetto dell’ultimatum di 24 ore che le forze governative hanno lanciato ai paramilitari e che non è stato rispettato. «Per ora non ci sono problemi per la nostra incolumità. Siamo in sicurezza, ma ovviamente l’ordine è di stare chiusi in casa», dichiara Rebora, sottolineando che se la situazione dovesse degenerare «abbiamo già messo a punto un piano per raggiungere l’ambasciata, ma ora è meno rischioso stare nel compound».

L’appello dell’Onu

L’inviato delle Nazioni Unite in Sudan, Volker Perthes, ha invitato soldati e paramilitari a cessare “immediatamente” i combattimenti a Khartoum e altrove nel Paese. «Perthes ha contattato entrambe le parti per richiedere l’immediata cessazione delle ostilità per la sicurezza del popolo sudanese e per risparmiare al Paese ulteriori violenze», si legge in una dichiarazione della missione delle Nazioni Unite in Sudan.

Emergency: «Ridotta l’attività nei nostri centri»

«Al momento abbiamo rimodulato l'attività nei nostri centri – spiega Muhameda Tulumovic, direttrice del programma di Emergency in Sudan. – Nel Centro Salam di cardiochirurgia a Khartoum molti membri dello staff sudanese non possono tornare a casa per motivi di sicurezza e rimarranno qui. Abbiamo chiuso il Centro pediatrico di Mayo, alle porte della capitale, facendo evacuare lo staff. Dalle città dove operiamo con gli altri nostri due centri pediatrici le notizie che ci giungono al momento sono, da Port Sudan, di forze dell'ordine, esercito e carri militari in strada, pronti a intervenire in caso del diffondersi degli scontri anche se al momento la situazione è ancora sotto controllo; da Nyala, di aeroporto e negozi chiusi e forze armate appena fuori dalla città».

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