Sudan, la tregua non ferma le violenze. Blinken parla con l’Unione africana
Violato anche l’ultimo accordo di cessate il fuoco. Il segretario di Stato Usa discute con il presidente della Commissione Ua Moussa Faki per una soluzione «sostenibile» delle violenze
di Alberto Magnani
I punti chiave
2' di lettura
Ennesimo flop della «tregua» dichiarata per 72 ore a Khartoum, capitale del Sudan, ostaggio da 12 giorni del conflitto fra l’esercito regolare e paramilitari delle Rapid support forces. Il cessate il fuoco sarebbe dovuto scattare alla mezzanotte del 24 aprile e protrarsi fino a quella del 26, ma sono bastate poco ore a far riemergere combattimenti nella città e nel resto del paese. In un comunicato diffuso via Twitter, i paramilitari accusano le forze armate regolari di aver attaccato «con aerei e artiglieria il campo delle Forze di supporto rapido nell’area di Kafouri», violando l’accordo siglato qualche giorno prima.
Ora l’esercito apre a un’estensione di altre 24 ore, mentre la comunità internazionale cerca di aumentare il pressing per una risoluzione diplomatica delle ostilità. Il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha discusso con il presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki, per arrivare a una «fine sostenibile» delle violenze esplose lo scorso 15 aprile. Nei giorni precedenti erano emerse proposte di mediazione da Turchia e Israele, con l’ipotesi di ospitare negoziati diretti all’estero. Secondo gli ultimi dati disponibili, gli scontri hanno provocato 512 vittime e 4.200 feriti, esasperando la crisi di un paese dove quasi 16 dei 46 milioni di cittadini richiedevano assistenza umanitaria già a inizio 2023.
Il conflitto si espande, cresce la pressione sui confini
Il conflitto nasce dalle divergenze fra il generale dell’esercito e leader di fatto del Sudan al-Buharan e il suo ex vice Dagalo, detto «Hemetti», a capo degli oltre 100mila uomini dispiegati dalle forze paramilitari delle Rsf. Le tensioni fra i due, artefici del golpe del 2021 a danno della «transizione democratica» del Sudan, sono sfociate in uno scontro che dura da quasi due settimane e rischia di espandersi oltre i confini della capitale sudanese.
Gli scontri più accesi del 26 aprile si sono consumati a Omdurman, una città da 1,5 milioni di cittadini appena a nord Khartoum, dove i reporter di Reuters parlano di scontri fra le truppe dell’esercito e rinforzi delle Rsf provenienti da altre zone del Paese. A crescere sono anche i timori di degenerazione in una guerra civile a tutti gli effetti, dopo che alcuni testimoni hanno raccontato di civili armati dalla polizia contro i paramilitari nella città di Genina e di alcune tribù arabe pronte, invece, a schierarsi con le Rsf.
Intanto l’evacuazione immediata di diplomatici e civili internazionali ha lasciato la popolazione sudanese ancora più isolata, fra milioni di cittadini bloccati a Khartoum e una quota crescente di migranti pronti a muoversi verso i paesi confinanti. Le Nazioni unite stimano che circa 100mila persone potrebbero tentare l’ingresso nel vicino Chad, il paese che già ospita 400mila richiedenti asilo sudanesi, mentre altri 170mila sarebbero diretti (o in rientro) nel Sud Sudan, lo stato nato nel 2011 come scissione subsahariana da Khartoum. Si registrano movimenti anche verso l’Egitto, paese che ha già manifestato un sostegno più o meno aperto all’esercito di al-Burhan.
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