verso il voto

Suggestioni sovraniste e fondamentali a rischio

di Sergio Fabbrini

4' di lettura

Come fare in modo che le elezioni italiane del prossimo 4 marzo non diano vita a una crisi sistemica? In democrazia le elezioni sono una gara che si svolge con regole certe per favorire esiti incerti. In tale interpretazione accademica della competizione elettorale, si assume che le regole siano certe perché conosciute da tutti e gli esiti possono essere incerti perché comunque interni a un orizzonte sistemico condiviso da tutti. Se le modalità della competizione sono accettate e le conseguenze della competizione sono congruenti con i “fondamentali” di un Paese, allora le elezioni possono svolgere al meglio la loro funzione fisiologica. Cioè consentire il ricambio o la conferma delle élite governative e delle politiche pubbliche da esse perseguite. Nonostante l’Italia sia una democrazia consolidata, tale fisiologia elettorale non è oggi garantita. Non solamente perché il prossimo 4 marzo andremo a votare con regole elettorali nuove (è la terza volta in 25 anni). Ma soprattutto perché gli esiti elettorali potrebbero mettere in discussione i criteri “fondamentali” che hanno orientato il nostro Paese almeno dalla fine della Guerra Fredda. Quei criteri sono infatti messi in discussione da forze politiche sovraniste che mirano a superare l’orizzonte della democrazia rappresentativa e a distaccare l’Italia dall’interdipendenza con l’Europa integrata. Di quali criteri si tratta? Mi limito a definirne i due principali.

Primo criterio. Nonostante l’Europa sia stata la condizione della nostra rinascita nazionale, le forze sovraniste mettono in discussione il nostro rapporto “costitutivo” con l’Europa. Se le istituzioni politiche ed elettorali non sono in grado di garantire la preservazione di quel rapporto (come è avvenuto in Francia), allora è necessario che quel rapporto venga protetto dalle nostre classi dirigenti (come sta avvenendo in Germania). Lì, sotto la pressione di ambienti pur politicamente diversi, si è giunti ad un pre-accordo, tra i tre principali partiti (Cdu, Csu e Spd) per la formazione di un governo di grande coalizione. Un pre-accordo che inizia testualmente con la seguente frase: «La Germania ha nei confronti dell’Europa un’infinita gratitudine».

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Non dovrebbe anche l’Italia nutrire «un’infinita gratitudine» verso l’Europa integrata? Grazie a quest’ultima siamo stati riaccolti nella comunità internazionale, siamo diventati una democrazia stabile, abbiamo sviluppato una delle economie più avanzate del mondo, abbiamo costruito una delle società più inclusive (nonostante le sue tante ingiustizie). Questo è stato possibile perché, sin dalla nostra rifondazione costituzionale, abbiamo riconosciuto la necessità di consentire, «in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni» (come recita l’Art. 11 della nostra Carta). Ciò significa, per capirsi, che non può esserci un mercato sovranazionale senza l’indipendenza di istituzioni sovranazionali per regolarlo. Sostenere, come viene affermato nell’accordo di coalizione appena siglato dal centro-destra italiano, che occorre reintrodurre «la prevalenza della nostra Costituzione sul diritto comunitario», vuol dire creare le condizioni per la frantumazione sovranista del sistema europeo (sia economico che politico). Peraltro, non è affatto vero, come pure viene sostenuto, che tale prevalenza sia stata formalizzata anche in Germania. Il Bundestag ha un ruolo preminente nelle materie regolate dai Trattati intergovernativi, come lo European Stability Mechanism, in quanto si tratta di accordi esterni al diritto comunitario, che appunto prevedono trasferimenti finanziari diretti da singoli Paesi ad altri. Ma ciò significa anche, per capirsi, che non può esserci una politica estera comune con l’Italia che rivendica la propria sovranità. Come è stato rivendicato, pochi giorni fa in Parlamento, da esponenti della sinistra radicale per motivare il loro voto contrario alla missione militare in Niger del nostro Paese (missione da condurre nel contesto di accordi multilaterali tra i principali Paesi europei e del Sahel).

Secondo. Nonostante l’interdipendenza tra le nostre politiche e quelle europee, le forze sovraniste rivendicano un rimpatrio di poteri che assomiglia a una dichiarazione di indipendenza. Occorre invece riaffermare il principio che nostre basilari scelte di politica pubblica debbono essere commisurate all’obiettivo di rafforzare la loro congruenza con il sistema europeo delle politiche pubbliche. Non ci possono essere subbi sul fatto che il Paese non potrà crescere senza una riduzione del suo enorme debito pubblico. Così, non ci possono essere dubbi sul fatto che quel debito vada ridotto dall’interno della condivisa sovranità monetaria dell’Eurozona, non già uscendo da quest’ultima (come ha mostrato, tra l’altro, il dibattito svolto tempo fa su questo giornale). Proporre di recuperare la vecchia sovranità monetaria attraverso l’emissione di mini-bot o titoli di stato di piccolo taglio con cui pagare la pubblica amministrazione, trasformandoli di fatto in una moneta parallela, come viene avanzato dalle componenti sovraniste del centro-destra, sarebbe una soluzione che peggiora il problema. La moneta comune è la condizione della nostra crescita, la lira lo sarebbe del nostro declino. Invece di accettare una campagna elettorale in cui i partiti fanno promesse strabilianti (di tagli fiscali o di integrazioni di reddito) o sostengono tesi sconclusionate, occorre invece richiamare quei partiti alla responsabilità e alla competenza.

Insomma, le suggestioni sovraniste sono incompatibili con i fondamentali italiani. La sovranità condivisa e l’interdipendenza delle politiche costituiscono criteri fondamentali del consenso nazionale. Quel consenso, che si era finalmente costruito a partire dagli anni Novanta del secolo scorso tra le nostre forze politiche, è oggi sfidato, per di più in assenza di istituzioni politiche (di governo ed elettorali) sufficientemente consolidate e legittimate da contenerne gli effetti centrifughi. Non potendo fare affidamento sulla stabilità delle proprie istituzioni, l’Italia deve contenere quegli effetti attraverso il senso di responsabilità delle proprie classi dirigenti diffuse (cioè di coloro che sono investiti di responsabilità pubbliche e private a tutti i livelli della nostra società nazionale). Spetta ad esse ricordare agli attori politici quali siano i fondamentali criteri che non possono essere messi in discussione dagli esiti della prossima competizione elettorale. Contrariamente a ciò che pensava Benedetto Croce, secondo cui l’élite politica è lo specchio del Paese, l’élite politica è in realtà lo specchio della classe dirigente di quest’ultimo, come invece sosteneva Robert Dahl. Se vogliamo un’Italia europea, occorre che la sua classe dirigente si faccia sentire senza equivoci e ambiguità.

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