Sugli extraprofitti prelievo a rischio costituzionalità
di Livia Salvini
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L’articolo 37 del Dl 21/2022 pubblicato lunedì in Gazzetta, cosiddetto “Taglia prezzi”, introduce un «contributo straordinario contro il caro bollette» a carico delle imprese operanti nel settore energetico; contributo che, nella sua finalità e nella individuazione dei soggetti obbligati, richiama evidentemente la cosiddetta Robin Hood Tax prevista dall’art. 81 d.l. n. 112/2008 che consisteva come è noto in un’addizionale Ires a carico di tali imprese. Tuttavia il nuovo contributo si discosta dal modello della Robin Hood Tax (Rht) per alcuni fondamentali aspetti, avendo evidentemente il legislatore tenuto conto della demolizione di tale modello a opera della Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 10/2015.
Il contributo in esame non è espressamente denominato come tributo: è tuttavia pacifico che ciò non può portare a negare la sua evidente natura tributaria e quindi la sua almeno astratta sindacabilità costituzionale ai sensi dell’art. 53 Cost., oltreché dell’art. 3 Cost.
Probabilmente la sua denominazione da una parte riflette la volontà del legislatore di configurarlo come un prelievo di carattere più spiccatamente solidaristico rispetto a un normale tributo e dall’altra una certa difficoltà a inquadrarlo in forme già note di prelievo fiscale, come si dirà subito.
Sotto il profilo della ragionevolezza ex art. 3 Cost. dell’assoggettamento al contributo delle sole imprese del settore energetico, la Corte Costituzionale ha già preso una precisa posizione. Si deve rilevare, al riguardo, che le norme che hanno istituito l’odierno contributo e la Rht condividono anche letteralmente la definizione socio-economica del contesto che ne giustifica l’emanazione («In dipendenza dell’andamento dell’economia e dell’impatto sociale dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico») e ambedue sono destinati – il contributo attraverso il fondo costituito ai sensi dell’art. 38 d.l. – al finanziamento di misure di mitigazione del costo dell’energia. Ebbene, secondo la Corte Costituzionale un trattamento formalmente discriminatorio delle imprese in questione può essere proprio giustificato dallo «stampo oligopolistico del settore» e dalla relativa anelasticità della domanda, che fanno ritenere non implausibile una redditività «sensibilmente maggiore» rispetto ad altri settori commerciali e legittimano il fatto che esse – e non (solo) la fiscalità generale – siano chiamate a finanziare tali misure.
Per quanto attiene invece il profilo della capacità contributiva, è evidente una fondamentale differenza tra questo contributo e la Rht: mentre quest’ultima era una semplice addizionale all’Ires che, al verificarsi di determinati presupposti, colpiva permanentemente l’intera base imponibile, il contributo si applica per il solo 2022 e colpisce i soli sovraprofitti congiunturali. Il contributo sembra quindi soddisfare, perlomeno di primo acchito, il principio fissato dalla Corte Costituzionale e che portò alla declaratoria di incostituzionalità della Rht: vale a dire il fatto che ex art. 53 Cost. è necessario che il tributo sia dotato di un meccanismo che consente di tassare in misura maggiore solo l’eventuale maggiore ricchezza «connessa alla posizione privilegiata dell’attività esercitata dal contribuente al permanere di una determinata congiuntura».
Se però si va nel dettaglio a esaminare come si determina la base imponibile (v. Il Sole 24Ore di ieri), emergono alcuni elementi che vanno sottolineati. Il primo è che, al di là del riferimento letterale alla disciplina sostanziale e procedimentale dell’Iva, si tratta piuttosto di un’imposta sul valore aggiunto tipo Irap, in quanto la base imponibile non è costituita dalle operazioni attive Iva, bensì dal saldo tra operazioni attive e operazioni passive, rilevante ai fini del contributo solo in quanto esso manifesti un incremento, nella misura e con le soglie previste dall’art. 37 (un “sovraprofitto” sui generis). In secondo luogo, e soprattutto, emerge che le regole attualmente dettate non sembrano idonee a misurare – o almeno a misurare in tutti i casi – un effettivo incremento di ricchezza tassabile nella logica del contributo. Si pensi al caso in cui l’incremento sia determinato da operazioni “straordinarie” come le cessioni di partecipazioni (la norma ricomprende nel calcolo anche le operazioni esenti Iva), ovvero al caso, frequente nel settore, in cui i costi, anch’essi aumentati data la contingenza economica, siano rappresentati da componenti (es. differenziali negativi realizzati su contratti derivati) qualora siano considerati non soggetti a Iva e quindi non computabili ai fini del contributo. Appare evidente che – in mancanza di correzioni che potrebbero intervenire in sede di conversione – questo meccanismo potrebbe non soddisfare il criterio di misurazione dell’incremento “speculativo” di ricchezza richiesto dalla Corte Costituzionale.
Sembra infine certamente censurabile ex art. 53 Cost. la prevista indeducibilità del contributo ai fini Ires, sulla base di quanto già affermato dalla Corte in materia di Irap e, più recentemente, di Imu (C. Cost. n. 262/2020).
Non sembra dubbio, in conclusione, che al di là dell’opportunità politica e sociale della sua introduzione, la disciplina del “contributo” in questione testimonia la perdurante difficoltà del legislatore di costruire un’imposta che intercetti, nel rispetto dei princìpi costituzionali, i sovraprofitti congiunturali.
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