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Sui rave party andiamo pure avanti con le regole (ma con giudizio)

Il decreto rave, una delle priorità del nuovo governo, affronta nei prossimi giorni l’esame delle Camere

di Ezio Perillo (*)

(Ansa)

4' di lettura

Il decreto rave, una delle priorità del nuovo governo, affronta nei prossimi giorni l’esame delle Camere. Dopo le prime reazioni politiche intervenute all’indomani della sua emanazione, il provvedimento è già stato fatto oggetto di un emendamento dell’esecutivo, ispirato probabilmente da una maggiore aderenza al principio generale dello Stato di diritto.

Questi fenomeni giovanili, che possono a volte trasformarsi in comportamenti collettivi anti-sociali e intollerabili, vanno infatti disciplinati tenendo comunque conto dei valori fondamentali di ogni Costituzione nazionale come pure di quelli dell’Unione europea.

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Sono, in particolare, i valori comuni del rispetto della dignità umana, della democrazia e dello Stato di diritto, «in una società (europea) caratterizzata dal pluralismo, (...), dalla tolleranza (e) dalla giustizia» (art.2 Tue).

Essere cittadino europeo significa invero avere uno status giuridico più ampio di quello nazionale e prevalente su quest’ultimo. Facciamo un esempio.

Ormai da tempo, ognuno di noi beneficia del diritto, di origine europea, di circolare liberamente all’interno di tutta l’Unione, solo perché cittadino europeo. Uno spazio, cioè, senza più controlli alle frontiere interne né posti di dogana con interminabili code. Una libertà che, ad esempio, consente a tutti di andare a tifare per la squadra del cuore in una partita di Champions League che si tiene “all’estero”, come si dice ancora oggi ma che in pratica è come andare nello stadio della città accanto, e festeggiare poi, talvolta con assordanti frastuoni nella notte, l’agognata vittoria. Oppure per ballare tutt’insieme in un concerto all’aperto, organizzato nella località di uno Stato membro confinante, a volte portando con sé, nella macchina o nel furgone, l’attrezzatura per organizzare l’annunciato evento.

Ben inteso, ora che nell’Unione non ci sono più frontiere interne, la libertà di circolazione delle persone vale, inevitabilmente, anche per i delinquenti comuni che possono così passare indisturbati da uno Stato membro all’altro. Per gestire questa evenienza gli Stati membri hanno comunque creato, nel 1999, Europol (art.88 Tfue); un’agenzia indipendente dell’Unione che ha il compito di sostenere l’azione delle polizie nazionali nella prevenzione e nella lotta contro la criminalità grave transfrontaliera nonché consigliare le forze di contrasto nelle operazioni sul campo. Visti dall’Europa, i rave party, quasi sempre intra-comunitari, non sono quindi inconciliabili con la libera circolazione degli organizzatori e dei partecipanti né con altre libertà sancite dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, salvo quando la musica sia solo l’alibi per nascondere un diverso disegno organizzativo, di natura criminosa.

Tra le libertà della Carta ce n’è una, ad esempio, di cui si parla poco ma che, nel mondo della comunicazione telematica di oggi, assume una particolare rilevanza: è la «libertà di ricevere e comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera» (art.11).

In numerosi Stati membri il fenomeno dei rave non è peraltro una novità e molti di essi hanno già da tempo normative amministrative e/o penali in materia (v., al riguardo, la breve rassegna comparativa su Il Sole 24 ore del 3 novembre). In Francia, ad esempio, questi raduni musicali, se superano le 500 persone, devono essere autorizzati dal prefetto del luogo. Inoltre, quando sussistono fondati rischi di natura pubblica, i prefetti francesi possono vietare, per un certo periodo di tempo, la tenuta di queste adunanze.

La provvisoria confisca della strumentazione, quando usata a tutto volume, è poi considerata la misura più deterrente e, visti i costi degli impianti, la più educativa, anche rispetto a quella del carcere. Una recente sentenza della Corte di cassazione transalpina precisa comunque che solo gli organizzatori che hanno agito senza la preventiva autorizzazione incorrono nelle pene per la corrispondente infrazione. La Carta sancisce comunque, solennemente, il principio per cui «le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato» (art.49).

Insomma, i raver di oggi non sembrano assimilabili, anche de jure condendo, agli hooligan di un tempo o ai tristemente famosi casseur transalpini, cui si applicano ben altre fattispecie penali.

Il motto dell’Unione «unita nella diversità», di recente tornato di moda nel nostro Paese, non significa quindi che uno Stato membro, invocando un suo specifico, contingente, interesse nazionale, possa legiferare in contrasto con le libertà della Carta e con il principio dello Stato di diritto dell’Unione.

In particolare, mette conto ricordare che dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2009), la finalità regina dell’Unione non è più il libero mercato bensì quella di assicurare a tutti i suoi cittadini, in cooperazione con le competenti autorità nazionali, «uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne (...) la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima» (art. 3, Tue).

L’Italia è anzitutto considerata, tra i cittadini degli altri Stati membri dell’Unione, il Bel Paese dell’arte, della musica (anche se non proprio di ogni tipo di musica) e della cultura, quello delle vacanze e dello svago, nonché la culla del diritto. A questo riguardo, le misure prese dal legislatore italiano nella lotta contro gravissimi fenomeni criminali come la corruzione, la mafia, la droga e altri ancora sono oggi considerate, dai nostri partner, delle discipline pur sempre esemplari.

Prendendo allora a prestito una felice espressione che Manzoni mise sulla bocca del Gran cancelliere spagnolo di Milano, preoccupato per l’ordine pubblico in una città le cui strade erano state pericolosamente “invase” da cittadini esasperati per il caro-grano (come oggi lo sarebbero per le bollette dell’energia ma molto meno, e direi giustamente, contro i rave party), potremmo ritenere che il nostro legislatore può certo procedere «adelante» nel disciplinare, in termini amministrativi e/o penali, questo fenomeno, ma avanzando pur sempre «con juicio», e cioè tenendo conto anche del prevalente diritto dell’Unione.

(*) Già giudice al Tribunale dell’Unione europea

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