Opinioni

Sulla ricerca l’Agenzia rischia l’autogol

di Alessandro Schiesaro

(angellodeco - Fotolia)

3' di lettura

Si parla da molti anni di istituire un’Agenzia nazionale per la ricerca. Una proposta governativa è finalmente approdata in Parlamento, ricompresa nella Legge di stabilità (articolo 28), ma nella sua attuale configurazione solleva soprattutto dubbi e obiezioni.

Esistono ottime ragioni per istituire un’Agenzia. Manca oggi un coordinamento fra le attività di ricerca svolte dei vari ministeri, primi fra tutti Miur (Istruzione, università e ricerca) e Salute, ma anche Agricoltura e Difesa, i cui obiettivi strategici sono diversi, come diverse sono le procedure di allocazione dei fondi. Difficile, in questo contesto, dare impulso a progetti di ampio respiro, articolati su più anni. Un organismo che promuovesse una reale condivisione di obiettivi strategici ambiziosi, e soprattutto la messa in comune delle risorse che sono necessarie per affrontare le sfide della ricerca attuale, colmerebbe una lacuna importante, a patto però di possedere un mandato d’azione chiaro e requisiti di indiscutibile autorevolezza.

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Il problema, purtroppo, è che l’attuale proposta non si muove nella direzione giusta, né per quanto riguarda compiti e funzioni del nuovo organismo, né per quanto concerne la sua struttura. L’Agenzia avrebbe infatti natura ibrida. Sarebbe in parte una cabina di regia in grado di «verificare l’attuazione delle linee generali di sviluppo della ricerca nazionale» e di «suggerire aggiornamenti» al Piano nazionale della ricerca (Pnr); in parte, soggetto promotore e finanziatore in prima persona di progetti di ricerca; in parte ancora, il valutatore del loro impatto. Insomma, troppo e troppo poco insieme. Troppo, perché alcune di queste funzioni sono già svolte da altre entità, quali ad esempio l’Agenzia nazionale per la valutazione della ricerca (Anvur), che ha naturalmente il compito di valutare i risultati delle attività di ricerca, oppure, all’interno del Miur, il Comitato nazionale dei garanti della ricerca (Cngr), il Comitato di esperti per la politica della ricerca (Cepr), o ancora la Segreteria tecnica per le politiche della ricerca. Ma anche poco: perché creare un nuovo ente solo per «suggerire modifiche» al Pnr, o per sovrapporsi senza sostituirsi a nessuno degli attuali soggetti finanziatori?

Il disegno di legge lascia senza risposte anche altre domande fondamentali. Non è chiaro se i 300 milioni di euro stanziati a regime, a partire dal 2022, siano aggiuntivi o sostitutivi rispetto ai fondi attualmente destinati ai vari ministeri. E quale sarebbe la relazione tra l’Agenzia da un lato e, dall’altro, le Università e gli Enti di ricerca, questi ultimi recentemente dotati, con il decreto legislativo 218 del 2016, di piena autonomia statutaria?

È molto difficile ipotizzare che, sulla base di un mandato così confuso, l’Agenzia possa davvero orientare la destinazione dei fondi attualmente in capo agli altri ministeri secondo grandi obiettivi strategici, per esempio nella ripartizione tra ricerca blue sky e ricerca applicata, o nella natura e quantità del sostegno alla ricerca svolta dalle imprese. Senza attenuare per nulla la pluralità delle strategie, oggi ricomprese a stento nel Pnr, la cui incisività è spesso discutibile, l’Agenzia comporterebbe un livello ulteriore di complicazione e di negoziazione senza affermarsi come organismo autorevole e indipendente.

Perplessità anche maggiori sono suscitate dalla struttura organizzativa che si delinea nel ddl. Ormai da molti anni i vertici degli enti di ricerca, ma anche quelli dell’Anvur e del Cngr, sono scelti (per fortuna) con un meccanismo a due fasi. Un comitato di esperti, a loro volta designati da una pluralità di soggetti indipendenti, tra i quali per esempio l’Accademia dei Lincei, la Conferenza dei rettori, l’Ocse, il Consiglio universitario nazionale, la European science foundation, seleziona tra i candidati quelli ritenuti scientificamente adeguati, riservando al decisore politico la scelta finale all’interno della rosa proposta. Il disegno di legge prevede invece la nomina del Direttore e della maggioranza dei membri del Consiglio direttivo dell’Agenzia da parte del Presidente del Consiglio, senza alcun vaglio preliminare indipendente. Chiunque ricordi le polemiche suscitate da alcune nomine assai discutibili in un passato non troppo lontano non può che allarmarsi di fronte all’abbandono di un metodo che garantisce alla comunità scientifica una voce forte e autonoma in materia. È significativo che il Gruppo 2003, in cui sono riuniti alcuni tra i più autorevoli scienziati italiani, e che tra i primi aveva caldeggiato l’istituzione dell’Agenzia, esprima oggi serie perplessità rispetto a un organismo che nascerebbe «a forte prevalenza politico-ministeriale», un modello molto lontano da quell’«organo tecnico gestito da esperti scelti in modo trasparente» che il Gruppo auspicava.

C’è ancora un margine di spazio, al Senato, per rimediare a queste e altre pecche di progettazione. Se non lo si facesse però, questa nuova Agenzia rappresenterebbe non solo un’occasione mancata, ma anche un pericoloso passo indietro.

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