Sulla tassa Airbnb a decidere sarà la Corte Ue
La decisione del Consiglio di Stato: per il colosso web occorre rivedere la norma
di Giuseppe Latour
2' di lettura
Sarà la Corte di Giustizia dell’Unione europea a mettere la parola fine alla lunga controversia sulla «tassa Airbnb». È la sostanza della decisione (ordinanza 6219/2019) con la quale ieri il Consiglio di Stato ha rinviato ai giudici lussemburghesi l’analisi delle regole sulla cedolare secca per le locazioni brevi.
Il rinvio rappresenta, senza dubbio, una vittoria per il gigante della sharing economy: di fatto, congela ancora per molto tempo la sentenza (2207/2019) che era stata pronunciata dal Tar Lazio a febbraio 2019. Lì si diceva che, per Airbnb, non sarebbe stato possibile sottrarsi alla sua funzione di sostituto di imposta.
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La questione - va ricordato - riguarda il regime introdotto per le locazioni brevi dal decreto 50/2017: qui è stato previsto l’obbligo per società come Airbnb di operare una ritenuta del 21% sull’ammontare di canoni e corrispettivi al momento del pagamento. Non solo: chi gestisce il portale telematico deve anche raccogliere e trasmettere i dati relativi ai contratti. Tutti adempimenti che Airbnb ha sempre rifiutato, non considerandosi un intermediario.
Al centro delle contestazioni c’è, in sostanza, l’incompatibilità di questi adempimenti con i principi del diritto europeo: manca la necessaria comunicazione preventiva a Bruxelles di una regola tecnica di questo tipo e, soprattutto, c’è contrasto tra questi obblighi informativi e fiscali e la libera prestazione dei servizi nel territorio comunitario. Questi oneri di intermediazione, cioè, renderebbero più difficile l’esercizio di un servizio in Italia per i soggetti esteri.
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Per il Consiglio di Stato, le obiezioni relative al diritto comunitario devono essere affrontate con un nuovo giudizio, anche perché «la Corte non si è ancora occupata della specifica questione». Arriva, così, la remissione alla Corte di Giustizia.
Secondo Airbnb questa ordinanza dovrebbe portare a una revisione della norma. «Anziché - si legge in una nota - attendere passivamente l’esito del giudizio per anni, confidiamo che il rinvio possa riaccendere il dibattito e il confronto con gli operatori per una soluzione legislativa più moderna». L’ipotesi potrebbe consistere nell’integrare le misure previste dal decreto crescita (Dl 34/2019), che ha introdotto la banca dati delle strutture ricettive. Questo materiale potrebbe, cioè, essere usato anche per la compliance fiscale, archiviando il meccanismo del sostituto di imposta.
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Bisogna, però, registrare che Federalberghi dà all’ordinanza una lettura parecchio diversa. Il suo presidente Bernabò Bocca spera, infatti, che «la Corte di Giustizia metta fine a questa commedia, che vede Airbnb appigliarsi ad ogni cavillo pur di non rispettare le leggi dello Stato. Siamo stanchi di assistere a questa esibizione indecorosa dei colossi del web, che realizzano nel nostro Paese utili milionari ma dimenticano di pagare quanto dovuto al fisco italiano».
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