scuola e coronavirus

Svezia, via libera alle colonie estive per ragazzi

La sua scelta permissiva ha reso il paese un perfetto esperimento naturale sul ruolo delle scuole nella diffusione del virus

di Marta Paterlini

(Martin Carlsson - stock.adobe.com)

5' di lettura

Nel mondo, il numero di morti di Covid-19 ora supera i 300.000. Per ridurre la diffusione dell'infezione in molti paesi le autorità hanno chiuso le scuole e imposto le stesse misure restrittive per anziani, adulti e bambini. In controtendenza, durante l'emergenza Covid-19 la Svezia ha tenuto aperti asili e scuole dell'obbligo fino ai sedici anni, senza grandi adeguamenti delle dimensioni della classe, della gestione del pranzo o delle regole di ricreazione.

Secondo Anders Tegnell, l'epidemiologo di Stato e stratega della strategia svedese, le evidenze dimostrano che chiudendo le scuole si riduce del 25% la forza lavoro degli ospedalieri, di cui c’è un ovvio ed estremo bisogno. Inoltre, è fondamentale per le giovani generazioni restare attivi per una buona salute psichica e fisica. Tanto che pochi giorni fa Tegnell ha dato il segnale verde all'apertura delle colonie estive per ragazzi.

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Poiché ormai si sa che le persone con sintomi lievi possono essere estremamente contagiose, anche le scuole potrebbero essere una fonte di focolai di Covid-19, probabilmente scatenati da bambini che si sentono bene. Ma possono trasmettere il virus a vicenda, ai loro insegnanti e ai loro le famiglie?

La Svezia potrebbe avere un ruolo chiave nel rispondere a questa domanda. Infatti la sua scelta permissiva sulle scuole ha reso il paese un perfetto esperimento naturale sul ruolo delle scuole nella diffusione del virus, potendo arricchire le conoscenze che risulterebbero utili a molti altri paesi che stanno riaprendo le scuole o meditano su quando farlo.

Putroppo, fino ad ora, le autorità svedesi non hanno dimostrato l'intenzione di sfruttare questa opportunità di tracciare le infezioni tra i bambini nelle scuole, giustificandosi che sarebbbe difficile dal punto della privacy.

Un dato di fatto è che in Svezia 900.000 bambini hanno frequentato le scuole durante questa pandemia e sembra che, a parte rarissimi casi, non si siano verificati gravi focolai nelle scuole svedesi.

È evidente che i bambini e gli adolescenti si ammalano più raramente di Covid-19, ma il loro ruolo nella diffusione dell'infezione non è ancora ben noto. La domanda è se i bambini hanno meno probabilità di contrarre l'infezione e di conseguenza di trasmetterla rispetto agli adulti.

«È molto probabile che i bambini possano infettare gli altri, ma gli studi dimostrano che raramente è un bambino a scatenare l'infezione in una famiglia», afferma Jonas Ludvigsson, pediatra ed epidemiologo del Karolinska Institute di Stoccolma, e autore di uno studio appena pubbblicato sulla rivista scientifica Acta Pediatrica, in cui ha esaminatio 700 pubblicazioni e quindi selezionato 47 ta le più rilevanti per la diffusione di Covid-19 e bambini.

«Non vi è alcuna indicazione che le scuole dell'infanzia e le scuole elementari aperte abbiano influenzato il tasso di mortalità in Svezia. In altre malattie infettive, come l'influenza, spesso sono i bambini che si ammalano per primi e poi infettano la famiglia. Nel caso del coronavirus, non vi è alcuna indicazione che la chiusura di scuole e scuole materne abbia ridotto il bilancio delle vittime in qualsiasi paese» commenta Ludvigsson, il quale spiega che alcuni studi hanno esaminato la quantità di virus Sars-CoV-2 nei bambini e i dati indicano che la quantità sarebbe nettamente inferiore rispetto agli adulti, il che riduce ulteriormente il rischio di infezione.

«Un certo numero di casi internazionali in cui è noto che i bambini con Covid-19 sono stati a contatto con molte persone senza passare l’infezione conferma ulteriormente la bassa infettività dei bambini», afferma Ludvigsson. Ciò significa che probabilmente i giovanissimi diffondono meno particelle di virus ad altri perché il rischio di ammalarsi è proporzionale alla quantità di virus a cui si è esposti e molto probabilmente i bambini hanno meno sintomi quando si ammalano. Questo è già noto e diversi studi recenti indicano che la persona con molti sintomi diffonde l'infezione più di quella che ha meno sintomi. E i bambini hanno meno sintomi, come tosse e starnuti, e quindi probabilmente trasmettono meno infezioni.

«Ho voluto esaminare più da vicino quante persone sono state infettate incontrando i bambini con sintomi. Ce ne sono pochissime», dice Ludvigsson e fornisce un esempio di una scuola: un bambino di nove anni, mentre era malato e presentava sintomi, è entrato in contatto con altre 112 persone. Nessuna di queste è stata innfettata. Ludvigsson menziona anche uno studio preliminare in una scuola superiore australiana dove nove studenti e nove membri dello staff avevano Covid-19. Nonostante abbbiano avuto contatti con 735 studenti e 128 persone dello staff, di tutti, solo due ragazzi sono stati contagiati dal coronavirus.

Lo studio di Ludvigsson potrebbe essere incoraggiante, ma c’è chi pensa che la Svezia abbia una opportunità rara per capire meglio la catena di trasmissionne dei contagi. In un commento alla rivista americana Science, Carina King, epidemiologa delle malattie infettive presso il Karolinska Institute, ha detto di essere delusa da questa mancata opportunità e ha aggiunto che in situazioni come queste ci dovrebbero essere protocolli pronti per l'implementazione dell'epidemiologia di base; ci sarebbbe bisogno di un mandato nazionale dall'alto per stabilire le priorità e finanziare rapidamente la ricerca per rispondere a queste domande scientifiche che hanno un impatto diretto sulla società intera.

Con la riapertura delle scuole, i modelli teorici non sono sufficienti per determinare il rischio reale per i bambini in età scolare, gli insegnanti e gli operatori sanitari. Con il sistema sanitario centralizzato della Svezia e numerosi registri, secondo la King sarebbe possibile rintracciare i casi abbastanza facilmente se ci fossero stati ulteriori test. Al momento in Svezia vengonno testati solo i sintomatici gravi.

Un indizio indiretto sul ruolo delle scuole nella diffusione potrebbe venire dagli studi sugli anticorpi. Pochi giorni fa, l'Agenzia svedese per la salute pubblica ha annunciato i risultati preliminari delle indagini sugli anticorpi di 1.100 persone provenienti da nove regioni. Hanno riferito che la presenza di anticorpi nei bambini e negli adolescenti era del 4,7%, rispetto al 6,7% negli adulti dai 20 ai 64 anni. Il tasso relativamente alto nei bambini suggerisce che potrebbe esserci stata una diffusione significativa nelle scuole. Tegnell ha tuttavia commentato che i test e il tracing svolti sui pochi giovanissimi con sintomi non hanno mostrato alcuna diffusione del virus nelle scuole.

Da aggiungere a questo panorama, una comunicazione appena pubblicata sulla rivista medica internazionale Jama contiene un dato importante, non definitivo ma da approfondire. I bambini esprimono poco del recettore Ace2 - quello che Sars-CoV-2 usa per infettare le cellule - nell'epitelio nasale. Il fatto che abbia pochi recettori del virus in quella che è la porta d’ingresso delle infezioni respiratorie giustifica la minore suscettibilità dei bambini alle infezioni. Se così fosse, oltre ad ammalarsi meno, i bambini sarebbero anche meno infetti e meno contagiosi.

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