Sviluppo delle competenze non cognitive nelle scuole, nucleo della sfida educativa
Il disegno di legge, la sperimentazione, il ruolo dell’autonomia degli istituti e l’innovazione didattica che mette in gioco l’intero sistema dell’istruzione
di Tommaso Agasisti*
4' di lettura
L'idea contenuta nel disegno di legge sullo sviluppo delle competenze non cognitive
nelle scuole è molto giusta e importante per il miglioramento del nostro sistema
educativo. La si potrebbe sintetizzare così: nello sviluppo critico e culturale dei bambini e
dei ragazzi, non contano solo gli apprendimenti delle discipline (italiano, matematica,
fisica, chimica, latino, educazione fisica e musicale, ecc.), bensì anche fattori quali la
personalità, il senso critico, le competenze sociali (lavorare in gruppo, capacità di ascolto,
ecc).
«Competenze non cognitive»
Il Ddl chiama queste ultime, complessivamente, “competenze non cognitive”. Le scuole dovrebbero occuparsi di lavorare con gli studenti per favorire lo sviluppo di tali competenze non cognitive tanto quanto per trasmettere i contenuti disciplinari. Questa impostazione culturale è molto appropriata, perché tiene in considerazione l'integralità della persona e la complessità del processo di apprendimento e di sviluppo degli individui. Bene dunque che la legislazione dia una spinta ad un impegno più significativo delle scuole in questo ambito, per evitare il rischio di ridurre l'esperienza educativa ad unesercizio nozionistico.
Coinvolgimento delle scuole
Come dovrebbe avvenire, in concreto, tale impegno? Il disegno di legge 2493,approvato qualche giorno fa dalla Camera dei Deputati e ora al Senato della Repubblica, introduce di fatto la possibilità di una sperimentazione cui le scuole potranno aderire volontariamente, auspicabilmente già dal 2022/23. In ciascuna sperimentazione, le scuole coinvolte si impegneranno a individuare le competenze da sviluppare, le buone pratiche per trasmetterle, insegnarle e valutarle, e a realizzare percorsi formativi in questo ambito, anche con il supporto di realtà innovative del terzo settore. Inoltre, si prevede un piano straordinario di formazione per i docenti, in merito ai contenuti di tali competenze e alle migliori modalità di trasmetterne la conoscenza e renderne possibile l'insegnamento. Non si tratta, in questo senso, di introdurre nuovi insegnamenti, bensì di favorire il ripensamento dell'insegnamento delle discipline tradizionali in un modo che “attivi” e sviluppi le non cognitive skills degli studenti (si pensi, ad esempio, a un approccio più laboratoriale che consenta agli studenti di sperimentare la modalità di lavoro in gruppo, o a esperienze teatrali e/o artistiche). Sulla carta, sembra un ottimo disegno di legge,moderno e vicino alle esigenze di cambiamento che stanno attraversando la nostrasocietà, cultura ed economia. Tra gli studiosi e gli esperti vi è, infatti, un ormai consolidato assenso sul ruolo che le competenze non cognitive abbiano nel formare persone più consapevoli, più partecipi alla vita sociale e culturale e più produttive inambito economico.
Attenzione ai dettagli
Tutto bene dunque? Si, abbastanza — ma l'attenzione ad alcuni dettagli, in questa vicenda, è d'obbligo. Ritengo che ci siano, in particolare, quattro temisu cui sciogliere alcuni nodi determinanti, che rischiano di mettere a repentaglio l'efficaciae la realizzazione di questo ottimo disegno di legge. Anzitutto, c'è un tema di tempi. Se davvero s'intende avviare la sperimentazione a partiredal 2022/23, è opportuno che il Parlamento velocizzi l'iter di approvazione del Ddl inSenato. Infatti, dovrà poi essere emanato un decreto ministeriale con tutte le indicazioni pratiche, e il timore che questo arrivi in tempi troppo ristretti (leggasi, a cavallo dell'estate) è concreto. Sarebbe necessario non avviare più sperimentazioni dell'ultimo minuto, con dirigenti scolastici e docenti nell'impossibilità pratica di prepararsi adeguatamente. Secondo, bisogna evitare a tutti i costi il rischio della burocrazia e dell'adempimento. Alcune (buone) sperimentazioni negli ultimi anni hanno avuto proprio questa caratteristica: si pensi al caso dell'Alternanza Scuola-Lavoro o del Pcto (Percorsi per leCompetenze Trasversali e l'Orientamento).
Troppe regole
Quando si impongono troppe regole (numero minimo di ore, caratteristiche dei percorsi da attivare, relazioni formali da scrivere eapprovare, ecc.) si svilisce la creatività delle scuole e si rinforza la percezione di eccessivaburocratizzazione che, come noto, deprime e affatica. Si lasci dunque il più ampio margine di discrezionalità alle scuole, investendo sulla loro autonomia: i loro progetti possono essere molto diversi tra loro per qualità, quantità e articolazione. Chi meglio del dirigente e dei docenti di una specifica scuola conosce le peculiari esigenze degli studenti che la frequentano? Il decreto attuativo da parte del ministero dovrà essere un esempio coraggioso di valorizzazione della autonomia e della intraprendenza dellascuola, e non un formale esercizio amministrativo.Terzo, si dia pari dignità alle scuole statali e paritarie. In molti dei provvedimenti assunti negli ultimi anni dal ministero dell'Istruzione, si è registrata un'inspiegabile differenza di trattamento tra le scuole statali e paritarie, con quest'ultime spesso escluse dalla possibilità di accedere a sperimentazioni e/o ricevere risorse. Si ricordi che le scuole paritarie fanno parte, con il medesimo ruolo delle scuole statali, del sistema pubblico di istruzione del nostro Paese (chi l'abbia dimenticato, si rilegga la legge 62/2000). Gli estensori e i firmatari del Ddl hanno fatto un ottimo lavoro, indicando sempre chiaramente che sia la formazione dei docenti che la sperimentazione vera e propriadevono coinvolgere tutte le scuole (non solamente quelle statali). Si vigili, dunque, in vista del futuro decreto di attuazione da parte del ministero dell'Istruzione, affinché si evitino “dimenticanze” nel momento in cui si definiscono le regole del gioco. Infine, l'idea che questo percorso di innovazione delle istituzioni scolastiche e dell'approccio educativo tutto possa avvenire a costo zero è, quantomai, velleitario. Vero è che il Ddl prevede un certo ammontare di risorse da destinare alla formazione dei docenti, tuttavia occorre pensare anche a finanziamenti da mettere a disposizione delle singole scuole per rendere i propri progetti il più possibile ambiziosi e di alto livello. A questo proposito, è auspicabile che il ministero dell'Istruzione, nel suo decreto attuativo, metta una mano non solo sul cuore ma anche al portafogli per dimostrare quanto crede a questo sviluppo del sistema scolastico del Paese. Se c'è da decidere qualche investimento di finanza pubblica intelligente, l'attenzione alla crescita dei ragazzi (umana,oltre che di apprendimenti), sembra un ottimo candidato.
*Tommaso Agasisti, Professore di Public Management, Politecnico di Milano
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