Sviluppo, l’economia sociale bussa alla porta
Il non profit pronto ad affermarsi come terzo pilastro a fianco dello Stato e del mercato. E il Forum nazionale chiede un Piano per l’economia sociale
di Alessia Maccaferri
2' di lettura
A Palazzo Chigi, tra i fascicoli all’attenzione del nuovo Governo, giace un Piano italiano per l’economia sociale, inviato da Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore, ombrello che accoglie i maggiori enti italiani, da Acli a Legambiente, da ActionAid a Legacoopsociali. Tutti assieme chiedono non solo la declinazione nazionale del Social Economy Action Plan elaborato dalla Commissione Ue, ma anche una call to action per la definizione di una economia sociale in Europa, una fiscalità che tenga conto delle peculiarità del non profit.
E poi lo sviluppo di una nuova via nei rapporti fra enti pubblici e terzo settore attraverso la co-programmazione e la co-progettazione.
D’altra parte i tempi sono maturi, superata la grande prova della pandemia. Il terzo settore ha affrontato l’emergenza accelerando sulla transizione digitale, difficoltosa soprattutto per gli enti minori e innovando le modalità con cui eroga i servizi, dalla didattica al welfare. E gli ultimi dati Istat confermano questa resistenza, che si è tramutata nel 2020 in una spinta in avanti: nonostante il calo del fatturato fino al 20% di metà delle istituzioni non profit a causa delle misure di distanziamento, gli addetti sono cresciuti dello 1% a 870.183 persone, al lavoro in 363.499 organizzazioni (+0,2% sul 2019).
Un terzo settore dunque forte, che non si esaurisce peraltro nel mondo del non profit ma è il cuore pulsante di una variegata economia sociale che vuole offrire risposte alle urgenze del tempo dalla crisi climatica alle disuguaglianze sociali. Come è stato raccontato nelle recenti Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile, organizzate da Aiccon, c’è un’Italia che si interroga su nuove modalità di welfare, sullo sviluppo delle aree interne, sul senso del lavoro all’epoca del precariato. E sperimenta forme di neomutualismo, come testimoniano Paolo Venturi e Flaviano Zandonai nell’omonimo libro, edito da Egea. Oppure che mette in campo economie di prossimità attivate non necessariamente dal non profit, come a Bari dove il Comune sta sostenendo i negozi che rigenerano i quartieri.
Ora per contribuire allo sviluppo del Paese, il terzo settore è chiamato a uscire dal cono d’ombra in cui talvolta si è adagiato e, come auspicato dal professore Stefano Zamagni, a divenire sempre più consapevole del proprio ruolo di valore, non solo per quello che fa ma per quello che è, e in quanto espressione della società civile. Una strada obbligata, se si vuole affermare come reale terzo pilastro tra Stato e mercato. I segnali ci sono tutti: a Bologna, il Comune ha firmato un patto con il terzo settore e le reti civiche che sarà esteso anche al mondo delle imprese, a partire dalle benefit.
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