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Svolta della Corporate America dopo 22 anni: basta con la «dittatura» degli azionisti

Gli azionisti, è il nuovo motto, vanno considerati alla pari dei lavoratori, dei clienti, dei fornitori e delle comunità in cui si opera. Gli investitori, insomma, sono solo uno dei 5 «stakeholders» di cui le imprese devono tenere conto nell’ambito delle loro attività

di Marco Valsania

3' di lettura

NEW YORK - Il “proposito di un'azienda” non è più soltanto o soprattutto il profitto per gli azionisti. La nuova “dichiarazione di principi” della Business Roundtable, grande associazione della Corporate America con oltre 180 imprese che impiegano dieci milioni di dipendenti, ha aggiornato i suoi valori, riformando decenni di tradizione: al centro oggi ci sono contributi e responsabilità nei confronti di lavoratori, fornitori, ambiente e comunità. Una nuova carta etica, insomma, che riequilibra la missione a favore del sociale e lo fa scommettendo che questo sarà anche un aspetto chiave per il successo futuro.

La presa di posizione collettiva dei colossi statunitensi, effettuata oggi attraverso un comunicato pubblicato sul sito dell’associazione, dimostra un cambiamento in atto ormai da anni nel mondo imprenditoriale. L’appello è sottoscritto ora da un ampio ventaglio di gruppi a cominciare da JP Morgan, con il chief executive Jamie Dimon alla guida della Business Roundtable. Ma pionieri di simili approcci, stando agli esperti, vanno da Ben & Jerry a Patagonia, da PepsiCo a Costco e a Southwest Airlines.

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Di recente lo spesso controverso leader dell'e-commerce Amazon ha annunciato progetti per riqualificare centomila dipendenti, un terzo della sua forza lavoro Usa. Il ceo di Amazon, Jeff Bezos, è tra i firmatari del documento, oltre a Dimon e ad altri influenti leader, da Tim Cook di Apple a Brian Moynihan di Bank of America, da Mary Barra di General Motors a Dennis Muilenberg di Boeing.

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Non manca la discussione sul pronunciamento e sulle sue ripercussioni: il business ha sicuramente un problema d’immagine e di sostanza con cui sta facendo i conti. È fresca la memoria degli eccessi dell’alta finanza che hanno scatenato o aggravato la grande crisi del 2008. E scottano le critiche ai colossi della “gig economy” per condizioni salariali e di lavoro inadeguate mentre l’abisso tra le paghe dei top executive e dei dipendenti cresce a dismisura e imperversano polemiche sulla disegueglianza di ricchezza e reddito nel Paese. I riflettori sono da tempo puntati su catene globali di fornitori dall’etica travagliata. E in generale pesano le crescenti difficoltà degli stessi ceti medi americani, le pressioni contro discriminazioni razziali e sessuali sul posto di lavoro, i tagli di costi e benefit e le generali difficoltà oggi nel raggiungere il “sogno americano” da parte di fatte crescenti della popolazione mentre profitti e guadagni per i soci spesso marciano.

Il Roosevelt Institute ha stimato che negli ultimi 15 anni le aziende Usa hanno spedito il 94% dei profitti agli azionisti, sotto forma di cedole o buyback, e sicuramente oggi i buyback rimangono estremamente generosi per sostenere quotazioni azionarie che finiscono a vantaggio anzitutto di grandi soci e management.

La svolta annunciata dalla Business Roundtable è però degna di nota e rara: l’ultima volta che aveva orchestrato un simile pronunciamento lo aveva fatto proprio a favore della centralità degli azionisti nelle decisioni aziendali nel 1997, esito di sforzi ispirati da Milton Friedman già a partire dagli anni Settanta. In un segno dei tempi mutati ora prende forma un diverso equilibrio tra business e società nel suo insieme: Dimon ha indicato che «il sogno americano è vivo ma si sta erodendo». Che «grandi datori di lavoro investono nei loro dipendenti e comunità perché sanno che è il solo modo per avere successo nel lungo periodo». E che «questi principi più moderni riflettono l’impegno assoluto della comunità di business nel continuare a spingere per un'economia che serva tutti gli americani».

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Nella aggiornata dichiarazione della Business Roundtable viene espressa la convinzione che «il sistema di libero mercato sia il miglior modo per generare buoni posti di lavoro, una robusta e sostenibile economia, un ambiente in salute e opportunità economiche per tutti». Ancora: «Il business svolge un ruolo vitale nell'economia creando occupazione, stimolando innovazione e offrendo beni e servizi essenziali». Le aziende affermano assieme che «se ciascuna delle nostre imprese individualmente serve propri scopi corporate, condividiamo un impegno di fondo nei confronti di tutti gli stakeholder. Ci impegnamo a fornire valore a tutti loro, per il futuro successo delle nostre aziende, delle nostre comunita' e nel nostro Paese».

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