Taglio dei parlamentari snodo della legislatura, chi lo tocca si scotta
La riforma costituzionale voluta dal M5s marcia spedita verso l’approvazione finale nonostante non piaccia a nessuno in Parlamento, eletti pentastellati compresi
di Emilia Patta
3' di lettura
Chi tocca il taglio del numero dei parlamentari si scotta. Ed è per questo che la riforma costituzionale voluta dal M5s marcia spedita verso l’approvazione finale nonostante non piaccia a nessuno in Parlamento, eletti pentastellati compresi. L’ultimo dei quattro sì previsti dalla Costituzione è stato calendarizzato nell’Aula della Camera alla riapertura dopo la pausa estiva, il 9 settembre. Ed essendo la seconda ed ultima lettura sarà un sì o no secco, senza possibilità di presentare emendamenti e senza possibilità di voto segreto.
Taglio del numero dei parlamentari verso il sì finale
Dopo occorrerà attendere i tre mesi previsti in caso di approvazione con meno dei due terzi per dare agli aventi diritto (un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali) il tempo di richiedere il referendum consultivo. Ma nessuno, neanche il Pd e Fi che voteranno contro, avrà il coraggio di sottoporre al voto una riforma “anti-casta” così popolare. E dunque, se come in molti credono si andrà a votare nei primi mesi del 2020, il Parlamento sarà eletto con le nuove regole: 400 deputati invece di 630, 200 senatori invece di 315. Un taglio secco di oltre un terzo che riduce la rappresentanza lasciando intatto il meccanismo del bicameralismo paritario (due Camere che danno entrambe la fiducia al governo e che approvano le stesse leggi) con il conseguente rischio ingovernabilità ormai storico nel nostro Paese.
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La convinzione del Pd: salterà il banco prima del via libera?
In ambienti del Pd vicini al segretario Nicola Zingaretti si scommette tutto sul passaggio di settembre: Matteo Salvini - si dice - farà saltare il governo appena in tempo per non approvare in via definitiva il famigerato taglio dei parlamentari. E dunque si andrà a votare all'inizio del nuovo anno. Per quale motivo il leader leghista - è il ragionamento - dovrebbe ridurre la possibilità di accontentare le tante richieste di candidatura nella sua lista da parte degli amministratori del Nord e di allargare la Lega al Sud accogliendo i transfughi di una Forza Italia ormai in via di sfaldamento? Val la pena ricordare che con l’attuale legge elettorale non basta avere circa il 40% dei voti per ottenere la maggioranza in Parlamento ma occorre vincere anche nel 70% dei collegi uninominali: la conquista del Sud è per Salvini la conditio sine qua non.
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L'accusa del M5s: la Lega vuole il voto per evitare la riforma
Il ragionamento fila, ma non tiene conto della guerra elettorale già in corso tra i due vicepremier: il leader pentastellato Luigi Di Maio già accusa Salvini di voler far cadere il governo per evitare l’entrata in vigore della riforma, e certo Salvini non ha nessuna intenzione di andare in campagna elettorale con questa “accusa” addosso. Per questo i parlamentari leghisti non hanno dato fin qui segno di voler rallentare l’approvazione della riforma e almeno apparentemente marciano compatti e convinti verso il sì finale: chi tocca il taglio del numero dei parlamentari si scotta.
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Per Salvini il rischio di una legislatura «blindata»
Tuttavia c'è una conseguenza implicita in caso di approvazione a settembre che Salvini - che comunque potrà contare lo stesso su una buona rappresentanza parlamentare vista la crescita della Lega (dal 17% ottenuto alle scorse politiche al 34% delle europee e al 38% dei sondaggi degli ultimi giorni) - deve tenere nel massimo conto. Una volta approvato il taglio del numero dei parlamentari la legislatura sarà ancora più blindata di prima, dal momento che la paura o la certezza di non essere rieletti favorirà la formazione di una maggioranza di “responsabili” alternativa anche senza la Lega.
Magari una maggioranza nata dall’emergenza di evitare l’esercizio provvisorio, ma l’esperienza dimostra che una volta che un governo parte non si può sapere dove andrà a finire. È in fondo quello che scherzosamente nel Pd chiamano il “lodo Franceschini”: da tempo l'ex ministro democratico auspica un incontro tra Pd e M5s in funzione anti-salviniana «a partire da certi valori». E c'è da credere che in caso di crisi e con il “taglio” alle porte i “capponi” faranno di tutto per non finire sulle mense del Natale.
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