«Talkin’ bout a Revolution»: domande generative per l’IA
È solo attraverso la crescita delle capacità umane che forse si apriranno nuove opportunità di sviluppo per la società.
di Giulio Xhaet * e Marco Valigi **
5' di lettura
Qualche settimana fa, uno degli autori di questo articolo è stato intervistato per un podcast di innovazione e la prima domanda che il conduttore ha posto è stata: “parli molto di lavoro e passioni personali. Credi che, alla fine della storia dell’universo, una particella contenente l’energia della tua passione in qualche modo esisterà ancora?”. Di primo acchito poteva apparire una domanda bizzarra. Tuttavia, provando a rispondere, la questione stimolava la mente su temi interessanti e interdisciplinari, a cavallo tra fisica, psicologia e filosofia.
Alla fine dell’intervista, il conduttore ha svelato che la domanda era stata formulata da ChatGPT 4. Per ogni ospite, chiedeva all’Intelligenza Artificiale di formulare domande affascinanti e un po’ strambe, tuttavia coerenti con il profilo dell’intervistato. Nel caso citato, la domanda era stata: “Considerata la biografia e gli interessi di questa persona che ti ho appena descritto, mi elabori dieci possibili domande brevi da porgli per un’intervista sul mio podcast riguardante l’innovazione, così da rompere il ghiaccio?”.
ChatGpt ha eseguito e lui, interagendo con l’IA, ha scelto il quesito che preferiva: un buon esempio, insomma, di domanda da rivolgere a un’intelligenza artificiale e, più in generale, un’idea brillante per utilizzare l’IA a supporto del proprio ruolo professionale, in questo caso il podcaster.
Questo aneddoto, inoltre, induce verso una riflessione più vasta. Probabilmente, una soft skill del prossimo futuro sarà la capacità di porre le domande utili e interessanti agli algoritmi conversazionali di nuova generazione, o una serie di domande che possano guidare il nostro supporto di AI per scoprire cose nuove, oppure, ancora, a sviluppare attraverso l’interazione uomo-macchina domande generative: le più adatte per imparare a ragionare e decidere meglio.
Alessandro Cravera, che da anni studia l’argomento, ci racconta che le domande generative hanno una caratteristica peculiare: fanno emergere punti di vista sulla situazione da affrontare che, in loro assenza, resterebbero nascosti. Lavorano sulla parte sommersa di una situazione, arricchendola di elementi ritenuti arbitrariamente e a priori irrilevanti. Ci aiutano a strutturare il contesto, interpretarlo in maniera accurata e a immaginare le conseguenze scatenabili da una nostra decisione.
Immaginate il contesto in cui state agendo come un antico maniero: le domande sono le chiavi che vi permettono di passare da una stanza all’altra, e da una zona all’altra del maniero. Se vi ponete domande superficiali o fini a sé stesse, aprirete stanze note e non aumenterete la vostra conoscenza sul luogo. Dovete andare alla ricerca di altre chiavi. Quelle che aprono porte differenti, le quali permetteranno di accedere a cripte o stanze segrete - ambienti inesplorati, ovvero generativi.
Un esempio semplice? Avete 42 anni, e siete indeciso se rimanere nella vostra azienda, dove vi trovate bene, oppure lanciarvi in una startup. “Sono troppo vecchio per startuppare?”. Sembra una domanda sensata, eppure non aggiunge nulla al contesto. Inoltre è inutile al fine di prendere una decisione. “Conoscendo il mio carattere, se ho l’opportunità di lanciare una startup e non la colgo, lo rimpiangerò?”. Questa sembra più generativa.
In un istante ci rendiamo conto di avere una nuova chiave in mano, con cui eventualmente aprire una porta chiusa che potrebbe portarmi a esplorare nuove riflessioni, e magari nuove domande. Se dovessimo immaginare domande generative da porre a una AI, che tipo di domande sarebbero? Che cosa l’intelligenza artificiale può sapermi dire e svelarmi in modo da aiutare la mia presa di decisioni, nel lavoro e nella vita?
Dalle domande da formulare a un’IA per rendere questa tecnologia uno strumento in grado invece di contribuire positivamente al processo decisionale, passiamo alle domande che i decisori politici si stanno ponendo riguardo proprio a ChatGPT 4. Ricollegandoci al tema delle domande generative, una prima considerazione concerne la natura dei quesiti che la politica sembra essersi posta sinora. Lungi dall’anteporre il tema di come giungere a una conoscenza più approfondita degli attuali sviluppi dell’AI - che è la chiave per prendere decisioni informate e consapevoli - il quesito che ha dominato queste fasi della vicenda è stato: “ChatGPT è controllabile?”. Come se la controllabilità - o forse il controllo - rappresentasse il bene e la sua assenza, automaticamente, il male.
Si tratta di una tipica ipersemplificazione di una realtà complessa in buoni e cattivi? Certo che sì. Di una domanda inutile o comunque sbagliata rispetto alla natura dell’argomento? Il progresso, crediamo, sarebbe stato più appropriato come focus, trattandosi di AI e interazione con la società. Oppure, si tratta di un quesito utile, ma a uno scopo differente da quello della conoscenza sul tema IA e affatto generativo?
Ecco, su questo aspetto ci soffermeremmo. Il tema del controllo, infatti, è centrale quando si parla di potere e interessi, le due pietre angolari della politica, e nella lettura di processi top-down. Di contro, l’IA, il tipo di relazione tra utente e AI suggerita nella prima parte di questo articolo e, infine, l’approccio sottostante le domande generative seguono logiche differenti - intuitivamente, diremmo bottom-up. Domandarsi se l’AI sia controllabile, non trova insomma una coerenza con la natura dell’oggetto da comprendere. Né chiarisce se essa sia utile al progresso oppure se la società nel suo complesso, grazie a una libera interazione con la macchina, possa trarne beneficio.
Dunque, no: riguardo a tali questioni, sapere se l’AI sia controllabile non ci dice proprio nulla. Una trasformazione come quella legata all’IA travalica i confini dello Stato, né le restrizioni imposte su base nazionale arresteranno l’impatto di quanto avverrà fuori dall'Italia. E in un mondo complesso, soprattutto quando si parla di rete o di ambiti tecnologici affini, la realtà si compone di un mix di fattori top down e bottom up.
Nel caso dell'AI, la componente bottom up è vistosa. L’AI cresce alimentandosi attraverso l’interazione con l’intelligenza umana. È l’uomo, quando ha consapevolezza dello strumento, a essere al centro del processo, come è accaduto nel caso dell’intervista in radio. È attraverso la crescita delle capacità umane, scommettendo sulla nostra capacità trasformativa e di discernimento, che forse si apriranno nuove opportunità di sviluppo per la società. La scelta consapevole, benché poco praticata, resta una peculiarità umana, non delle macchine.
Un dettaglio forse banale, ma che in questa fase a nostro avviso è stato sin troppo sottovalutato. La risposta, ancora una volta non è fermare le macchine, ma fare crescere gli esseri umani, educandoli al senso critico - che poi è solo un modo alternativo di utilizzare domande generative, ovvero strumenti in grado di aprire porte e ampliare orizzonti anziché imboccare chine auto-confirmatorie - e formandoli nell’interazione con le macchine, un processo vecchio quanto il mondo o almeno ineluttabile da dopo la rivoluzione industriale.
Non ci sono ragioni di privacy plausibili per interdire l’uso dell'AI e, per ora, il passo avanti più importante nell’intera vicenda è giunto proprio dal presunto nemico - Open AI. Sì, esatto, sono le macchine, per così dire, a essersi messe a disposizione del Garante e ad avviare un processo che definire vintage è riduttivo: il dialogo e la ricerca di un punto di sintesi attraverso il negoziato.
Vogliamo essere fiduciosi, dunque, che l’intelligenza artificiale continuerà a essere trattata come tale e gli utenti non come stupidi - o almeno che non si assuma che la maggioranza di essi lo sia. Del resto, è noto, ogni leader ha la squadra che si merita. Se le soft skills di domani riguarderanno la capacità, o meglio una nuova capacità dell’uomo a comunicare e interagire con un tipo nuovi di macchina, dunque, meglio iniziare senza indugi ad alfabetizzarsi e a scovare i codici giusti. Con una lingua e una cultura ricche come quelle italiane, forse, potremmo scoprire di possedere addirittura un qualche vantaggio competitivo. Come di dice: presto che è tardi!
* Partner di Newton Spa
** ESCP Business School e Partner Governance Advisors
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