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Taranto, la stretta della Provincia mette a rischio il traffico delle merci polverose

Le nuove regole introdotte dalla Provincia di Taranto, competente in materia ambientale, in materia di movimentazione di merci polverose, rischiano di allontanare traffico, navi ed occasioni di lavoro

di Domenico Palmiotti

(Gaetano Lo Porto / AGF)

4' di lettura

In allarme gli operatori del porto di Taranto. Le nuove regole introdotte dalla Provincia di Taranto, ente competente in materia ambientale, in materia di movimentazione di merci polverose, rischiano di allontanare traffico, navi ed occasioni di lavoro. Raccomar, l’associazione degli agenti e dei raccomandatari marittimi – sono le figure professionali che si occupano dell’assistenza alle navi in porto –, dichiara che la Provincia di Taranto è l’unica in Italia ad aver introdotto una disposizione che prevede che coloro che movimentano merci polverose, cioè le rinfuse solide, devono avere l’autorizzazione per le emissioni in atmosfera.

«Evidente contraddittorietà»

L’Autorità di sistema portuale del Mar Ionio, porto di Taranto, che ha coinvolto sulla vicenda anche l’Authority del Mar Adriatico Meridionale, afferma che c’è una «evidente contraddittorietà» nelle «conclusioni esternate dalla Provincia di Taranto rispetto ad orientamenti espressi da altri enti competenti in materia e da diverse Amministrazioni provinciali». Si chiede quindi da parte dell’Authority di Taranto un tavolo tecnico per dirimere la questione, considerato, a seguito della disposizione, il «grave impatto sull’attività operativa del cluster del porto di Taranto con evidenti e gravi ripercussioni sia sull’interesse pubblico al corretto svolgimento di tali attività, sia sull’immagine del porto e dell’intero territorio».

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Calo di traffici

Evidenziando che gli operatori del porto di Taranto stanno già «fronteggiando un calo di traffici evidente e pastoie burocratiche di difficile comprensione», Raccomar sostiene che «L’obbligo di acquisizione di titolo abilitativo relativo alle emissioni in atmosfera per le attività di movimentazioni merci polverose»», è una documentazione «finora non richiesta in nessuna provincia italiana» e «porterebbe al blocco dei traffici di rinfuse solide nel nostro porto e non solo»».

I contraccolpi

Anzi, per gli operatori ci sono già stati contraccolpi perchè «la prima nave è stata dirottata in altro porto per evitare stalli e controlli da parte degli enti preposti e tante altre ancora potrebbero seguirne. Per il cluster marittimo tutto ciò è inaccettabile – rileva Raccomar –. Una situazione paradossale che fa il paio con un’altra enorme stortura burocratica che da sempre attanaglia il nostro porto: le autorizzazioni uso fiamma per lavori a bordo di navi che trasportano eolico e cantieristico. A Taranto abbiamo una procedura farraginosa e penalizzante», si sottolinea, mentre «porti limitrofi, con stessa normativa, stessi chimici di porto, stesse direzioni regionali di Usmaf e Vigili del Fuoco, hanno ordinanze e procedure estremamente più snelle, a beneficio degli armatori che preferiscono scalare gli altri porti pugliesi e non Taranto.

«Stesse regole per tutti»

Se la normativa è nazionale, tutti i porti devono avere le stesse regole» evidenzia Raccomar. «In questa fase di crisi economica e occupazionale – sostengono i raccomandatari marittimi – la tenuta dei traffici industriali all’interno dell’area portuale è vitale per la sopravvivenza delle nostre imprese. Siamo d’accordo con Patroni Griffi, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Adriatico Meridionale, che da subito si è fatto carico della questione e che sostiene che le imprese portuali non hanno l’obbligo di essere considerate “stabilimento” in quanto prestatori d’opera, pertanto non dovrebbero dotarsi di autorizzazioni specifiche».

Come venire a capo della delibera

«La disposizione della Provincia di Taranto – spiega il presidente dell’Authority del Mar Ionio, Sergio Prete – è arrivata ai primi di agosto e adesso ci si sta muovendo per vedere come venirne a capo ed evitare che ci sia un impatto negativo per gli operatori del porto». Nel frattempo la Provincia ha convocato un vertice con le imprese per le ore 15 del 24 agosto per fare il punto sulla questione. «Stiamo lavorando incessantemente dal 2015 con il presidente Sergio Prete per cercare di far ritornare i traffici ed il lavoro per i portuali di Taranto nonostante la lunga crisi del siderurgico. Far scappare via le merci in questo modo significa vanificare anni di impegno» commenta Carmelo Sasso di Uil Trasporti.
Le rinfuse solide (materie prime per la produzione tra cui quella siderurgica) costituiscono una delle voci più rilevanti del traffico del porto di Taranto. Grazie alla ripresa produttiva dell’ex Ilva, nel primo semestre 2021 sono stati movimentati 4,622 milioni di tonnellate di rinfuse solide contro i 4,142 milioni di tonnellate dello stesso periodo del 2020, con un aumento dell’11,6 per cento. Prete però specifica che l’intervento della Provincia «non riguarda i pontili del siderurgico, dove avviene la gran parte del movimento delle rinfuse solide, ma solo le banchine pubbliche del porto, cioè quelle utilizzate dagli operatori privati. Queste rinfuse non costituiscono, in quest’ambito operativo, un core business, ma sono pur sempre un’attività che contribuisce ai volumi complessivi dello scalo».

Lo stato di agitazione

Intanto, i sindacati dei lavoratori portuali di Cgil, Cisl e Uil hanno promosso lo stato di agitazione del personale delle imprese ex articolo 16 della legge 84/94. La comunicazione è stata fatta alle stesse imprese, Confindustria Taranto, Autorità portuale e Prefettura. «Le ragioni – affermano i sindacati – sono i contenuti della nota della Provincia di Taranto che hanno provocato l’immediata delocalizzazione dei traffici verso altri porti pugliesi e non». Questo, dicono i sindacati riferendosi alle compagnie armatrici, «al fine di evitare ogni inconveniente eventuale, conseguente alla movimentazione di materie rinfuse pulvirolente, in assenza della richiesta autorizzazione alle emissioni in atmosfera».

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