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Tarzan, l’eroe moderno è nudo

di Stefano Biolchini

(© The Hollywood Archive)

6' di lettura

A-aa-aa-aaaa. La prima lettera dell'alfabeto, ripetuta a più riprese, e il battere forte e imperioso sul torace sono - fra le esotiche liane - il suo irriducibile e ormai nostalgico grido di battaglia. Perché da oltre un secolo, correva l'anno 1912, John Clayton, pari d'Inghilterra e Lord Greystok, universalmente noto come Tarzan è, o è stato, l'eroe moderno del xx secolo. Nudo come Adamo, forte come Eracle, bello come un Apollo, nutrito come Romolo dal latte di belva, Rousseuianamente selvaggio, il Re della giungla per volere della penna estrosa di Edgar Rice Bourroughs può fare a meno perfino dei superpoteri o dei mantelli magici dei suoi confratelli del mito a stelle e strisce: a lui bastano le liane per volare, un semplice pugnale è la sua spada di moderno cavaliere della Tavola Rotonda; tutto il resto, per quanto lo riguarda nel bene nel male, come spiega Francis Lacassin, nel suo Il Ritorno di Tarzan, La storia e il mito fra letteratura, cinema e immagine, appartiene ormai ai più consolidati archetipi di ispirazione collettiva.

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Impresa non da poco per il figlio di un distillatore di Chicago, nato il primo di settembre del 1875, che fallita la carriera di cadetto di Westpoint, sarà mandriano nell'Idaho, operaio in una miniera d'oro in Oregon, poliziotto a Salt Lake City, agente pubblicitario e infine, come nel più classico dei cliché made in Usa, reso ricco da oltre 35 milioni di copie vendute, 15 milioni delle quali rappresentano la tiratura dei 22 romanzi di Tarzan usciti dal 1914 al 1947 e tradotti in ben cinquantasei lingue, fra cui anche il Braille e l'Esperanto. In Europa Tarzan sbarca il 13 settembre 1917 per la londinese Methuen & Co. Ltd, mentre solo nel 1926 M.lle A. Lucion pubblicò da Fayard la traduzione francese di Tarzan e le scimmie che dodici anni dopo sarebbe apparsa per i tipi di Hachette. Se il rischio era di confondere il re della giungla con il Mowgly di Kipling o con i molti casi forniti dalla cronaca internazionale di bambini allevati da bestie più o meno feroci, la maestria di Bourroghs risiedette primariamente nella rinnovazione, molto personalmente interpretata, dei tanti miti di riferimento, quelli greci e romani prima di tutti, senza trascurare l'archetipo per eccellenza dei libri d'avventura, Robinson Crusoe. Reinterpretazioni rese ancor più seducenti e verosimiglianti dalle ascendenze aristocratiche inglesi dell'eore, Lord Greystoke per l'appunto, e quindi più rassicuranti per il perbenista pubblico americano, che lo vuole vero wasp, con tanto di seggio al parlamento e britannico e per compagna di vita, Jane, anche lei bellissima e dalla pelle bianchissima, naturalmente.

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Se poi a ciò si aggiunge l'onirismo garantito da un linguaggio da “antropoidi”, inventato dall'autore e assurto al gergo fatato che trasforma il leone in “Numa”, ha “Sabor”per la leonessa, in “Histah” il serpente, e” Usha” e “Asha” per il vento e il lampo, a cui si affiancheranno la matita aerea di Hogarth per i fumetti e poi il fastoso cinema muto e quindi il sonoro, il successo non poteva che essere planetario per questo eroe pacifico ed energico insieme, che non consente a nessun intruso di sfidarne l'autorità. Perché Tarzan, erotico dio nudo, è si un democratico che combatterà anche i nazisti nel fumetto a firma Rex Maxon, ma conservatore al punto giusto, certamente antischiavista ma pur sempre rassicurantemente paternalista. E questo, come segnala Lacassin, è il suo principale difetto. “Governa la Giungla con la fermezza del pater familias e ha diritto di vita e di morte sui suoi figli, non ne abusa ma è lui che decide quello che considera il loro bene”. Né più né meno che un personaggio cavalleresco e magnifico in cui gli adolescenti si possano facilmente identificare e con in più l'autorità del padre di cui cercano protezione.

E ancora, un re nudo, ma dalla tranquilla nudità naturista, in grado di costituire per lui “la migliore delle armature contro gli assalti e i turbamenti, che pure sono evidenti, della sua sessualità”. Perché le incertezze sulla libido e sulle tendenze sessuali del nostro eroe, poi null'altro possono essere che specchio delle repressioni dello stesso autore. Con un'accortezza che la dice lunga sul clima dell'epoca: l'erotismo del personaggio va sempre controllato. Tarzan fugge piuttosto alle pretese amorose delle varie regine d'Africa (tutte bianche a governare sui neri!). Lui non è King Kong (che è del 1914) e, seppure Bourroughs intuì fin da subito che con una famiglia, pur nuda ma molto british, l'uomo scimmia era condannato all'insulsaggine borghese che avrebbe abbattuto ogni mito, stuoli di sceneggiatori inetti lo resero perfino ridicolo nelle sue fughe davanti a principesse, sacerdotesse e sovrane invitanti. Il sociologo Roger Callois spiega che la resa dell'uomo davanti alla donna mantide non è che frutto del complesso di castrazione che ha “per origine il terrore della vagina dentata”. Come un moderno gladiatore Tarzan cerca con piacere voluttuoso, e fors'anche sadico, i combattimenti, ma sfugge davanti alle pretese amorose di fanciulle tutte bellissime. Indolenza del gigante ( e Tarzan lo è) o vera impotenza? Attenzione a non confondere la plastica possanza fisica del re della foresta con la virilità: basterebbe il mito dei nani sempre “calienti” a sotterrare qualsiasi gigante. Perché, come suggerisce l'autore, per uno che preferisce misurarsi con avversari muscolosi in lotte e torsioni più che sensuali “Sodoma e i suoi piaceri” restano più che un sospetto latente.

Tarzan è un “principe che dopo aver sconfitto il drago fugge davanti alla principessa”. Con ciò non che venga meno la portata onirica di romanzi che in un continuo gioco di specchi e miti di ritorno spaziano dalla conquista di Atlantide al Santo Sepolcro, fino allo spazio sperduto per poi tornare alle antichità romane e quindi al deserto egiziano, alle savane e alla giungla. Certo Bourroughs utilizza uno schema collaudato e quasi fisso che prevede la ricerca di un tesoro o di una persona perduta per far arrivare il signore delle liane alla scoperta di una civiltà remota e nascosta, con corredo di lotte e ostilità fratricide; ma la sua saga, vedansi “Il Trionfo di Tarzan, Tarzan e la città dell'oro, Tarzan e la città proibita, Tarzan the Magnificent...” con gli elementi miscellati a dovere di mistero, favoloso, orrifico, dinamismo e barocchismi “ non per questo risulta meno fantastica, anzi. Il delirio stravagante di questo autore fin troppo trascurato trasfonde la poesia nell'inusitato di avventure stupefacenti, in grado di trovare nei disegni di Hogart, pur nella sua infedeltà al testo, uno spirito altrettanto creativo. Tarzan “non è solo il buon selvaggio che conduce una vita sana, leale e primitiva” spiega Lacassin, ma “è forse un mutante venuto da altri mondi e medium che ha il dono prodigioso di mettere in comunicazione la giungla, il nostro mondo e il suo tempo con il fiabesco e l'aldilà”.

Al Cinema, a Elmo Lincoln che lo impersonò per primo e a Johnny Weissmuller, che più di tutti lo ha incarnato - ma anche allo stuolo di giganti muscolosi che nei decenni si sono succeduti nel ruolo senza lasciare troppe (eppur nel libro scandagliatissime) tracce, il compito di rendere per sempre evocativo il nome e l'urlo di Tarzan. E questo nonostante la mutazione commercialmente genetica dell'eroe in un “capo scout naturista che fa camping con la sua Jane” (la stupenda Maureen O' Sullivan, la migliore in pellicola) per portare a compimento la sua buon'azione quotidiana che porterà sulla giusta strada esploratori smarriti e ladri di zanne d'elefante. “Grazie a quali complicità la stupidità, il cattivo gusto, l'ignoranza, la cupidigia, lo scoutismo sono riusciti a mutilare, falsificare e pervertire uno dei più affascinanti miti moderni?” si domanda Lacassin, per cui “lo spirito di guadagno, la pochezza dei registi e la debolezza mentale degli sceneggiatori sono stati i maggiori atouts di questa notevole impresa di falsificazione”.

Un'impresa di svuotamento, si direbbe, in grado desacralizzare il personaggio che nel mistero delle origini, nell'appartenenza alla Camera dei Lord, nell'educazione scimmiesca, nell'erotismo contrastato, così bene affondava. Sacrifici assurdi, conditi di imborghesimento pretenzioso e di stereotipi puerili che in intrecci pressapochisti, con la complicità di registi da poco, avranno la meglio sui grandi schermi dal 1937 in avanti, quali veicoli compiaciuti della più scalcaganta ideologia americana. Tarzan come trasposizione pittoresca del self made man, con tanto di accentuazione dell'elemento razzista e paternalistico, finirà per applicare alla giungla “la dottrina Monroe”. “Pervertito, evirato, falsificato da Hollywood, questo padre di famiglia anodino...non ha più nulla di comune - se non la nudità- con colui che amammo” conclude Lacassin. Ma se questo era il Cinema, per uno strano caso le sue alterazioni, negli Usa, non ebbero ripercussioni sensibili sul contenuto dei fumetti. Non così in Francia, dove curiosamente le bande dessinée suscitarono reazione indignata; sopraggiunta la legge 49-956 del 16 luglio 1949, che poneva la gioventù francese sotto il regime dell'educazione controllata dai benpensanti, che ritenevano il grido di Tarzan lanciato sulle belve “ripugnante e relativo a comportanti sadici”.

E così la direzione di “Tarzan” non ebbe che a capitolare. Il 3 maggio 1952 l'annuncio sotto l'emblematico titolo:”Addio a Tarzan”, la Commissione paritaria della stampa dei giornali aveva ritirato il certificato d'iscrizione e Tarzan venne soppresso. L'eroe solitario riavrà oltralpe in Cino Del Duca il cavaliere che lo farà ricomparire. Ma solo per poco. L'ordine morale, la moderazione e l'educazione di fanciulli e fanciulle decretarono la temporanea caduta di un mito in “pericoloso” perizoma , che pure resterà nelle teste e nei sogni di quei molti che nessun conformismo può privare dell'immaginazione e della nostalgia.

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