Tassa sui money transfer dimenticata e senza istruzioni
L’imposta sul trasferimento di denaro resta in vigore ma è di fatto inapplicabile. La situazione andrebbe chiarita per evitare dubbi di tipo operativo e contabile
di Marco Piazza e Stefano Sirocchi
3' di lettura
L’imposta sull’invio di denaro all’estero, introdotta dal decreto fiscale dello scorso anno, rimane ancora in una sorta di limbo. Tanto che, a quasi 12 mesi dalla sua entrata in vigore, pare che vi sia forse un’unica certezza: la necessità di abrogare la norma con lo stesso strumento con cui è stata istituita (una legge) anziché lasciarla dormiente per mancanza di una disciplina attuativa. Anche perché i pochissimi operatori che, pur nell’assenza di istruzioni, hanno comunque trattenuto il tributo, sono privi persino del codice tributo con cui versarlo e si chiedono ora che farne.
Il “cantiere” della manovra per il 2020 potrebbe dunque offrire l’occasione di porre una parola definitiva sulla questione.
Il tributo A partire dal 1° gennaio scorso gli istituti di pagamento avrebbero dovuto trattenere e versare all’Erario l’1,5% del valore di ogni singola operazione effettuata dai clienti per le rimesse di denaro verso Paesi extracomunitari, con l’esclusione delle transazioni con importo inferiore a 10 euro o di natura commerciale.
Come previsto dall’articolo 25-novies del decreto fiscale 2018 (il Dl 119 del 23 ottobre 2018) i provvedimenti attuativi avrebbero dovuto essere emanati entro il 17 febbraio 2019 (termine ordinatorio di 60 giorni). Circostanza che tuttavia ad oggi non si è ancora concretizzata.
I dubbi di ammissibilitàFin da subito, peraltro, erano sorte non poche perplessità relativamente ai profili di ammissibilità del tributo, che risulta essere in netto contrasto con l’articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e in particolare, col paragrafo 1, in cui si vietano «tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi» (si veda Il Sole 24 Ore del 10 gennaio scorso). Non solo: i «trasferimenti dei risparmi degli immigrati nel Paese di residenza anteriore, durante la loro permanenza all’estero» oltre che in generale l’importazione o esportazione di «mezzi di pagamento di ogni tipo» sono esplicitamente elencati nella Nomenclatura dei movimenti di capitali, allegato I alla direttiva 361/88/Cee, e più volte citati dalla giurisprudenza a proposito dell’articolo 63 del Trattato.
La nuova imposta sarebbe anche «ingiustificatamente discriminatoria» in quanto applicabile alle sole rimesse effettuate dagli istituti di pagamento, e non anche agli altri operatori autorizzati ad offrire servizi simili, quali le banche e Poste Italiane. A sostenerlo è stata l’Autorità garante della concorrenza, nel Bollettino n. 7 del 18 febbraio 2019, in cui si auspicano modifiche in quanto la disposizione sarebbe suscettibile di alterare il confronto competitivo: il tributo, infatti, costituirebbe un elemento addizionale di costo a carico dei soli istituti di pagamento. E per i consumatori sarebbe un ulteriore aggravio in termini di trasparenza e costi di ricerca.
Criteri di calcolo e contabiliLa tecnica normativa utilizzata potrebbe far ritenere il tributo dovuto a prescindere dai decreti attuativi («A decorrere dal 1° gennaio 2019 è istituita un’imposta sui trasferimenti di denaro», secondo il comma 1, articolo 25-novies, Dl 119/2018), ma notevoli incertezze permangono sulla determinazione del tributo, in particolare se l’imposta debba essere calcolata al lordo o al netto delle commissioni, di quelle fisse o anche quelle collegate al tasso di cambio applicato al cliente.
Non è neppure chiaro quali possano essere le responsabilità in capo all’istituto di pagamento in caso di mancata riscossione del tributo. Alcuni ritengono che nel caso di specie non sia configurabile la figura del sostituto di imposta. Il compito del money transfer sarebbe meramente strumentale all’esazione dell’imposta, trattandosi di una sorta di soggetto facilitatore alla riscossione, come accade per i cosiddetti «agenti contabili».
Anche in vista della prossima chiusura dei bilanci di esercizio è indispensabile che gli amministratori abbiano a disposizione tale informazione ed evitino di appostare (improbabili?) poste aleatorie.
Il precedenteGià nel 2011 si era tentato di introdurre un analogo tributo sulle rimesse (articolo 2, comma 35-octies del Dl 138/2011). L’imposta era stata fissata al 2% sulle somme trasferite, con un minimo di prelievo di 3 euro, ma con una completa esenzione per i trasferimenti effettuati da persone fisiche munite di matricola Inps e codice fiscale. La riscossione avrebbe dovuto essere operata, oltre che dagli istituti di pagamento, anche dagli istituti bancari e dagli altri agenti di attività finanziaria.
La norma fu poi abrogata ancora prima che venisse applicata (articolo 3, comma 15 del Dl 12/2012).
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