diseguaglianze

Tasse, i miliardari Usa pagano aliquote più basse dei loro dipendenti

Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, l’anno scorso l’elite degli ultra-miliardari ha pagato un’aliquota fiscale effettiva inferiore a quella dei lavoratori

di Marco Valsania

Ventidue milioni di paperoni hanno il 50% della ricchezza finanziaria mondiale

3' di lettura

New York - La grande diseguaglianza che divide l’America, e che da dramma sociale si trasforma ormai anche in zavorra economica, ha fatto segnare un nuovo record: per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, l'anno scorso l’elite degli ultra-miliardari ha pagato un’aliquota fiscale effettiva inferiore a quella dei lavoratori. Poco più del 20%, una volta sommate le tasse federali, statali e locali.

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Il calcolo è contenuto in un nuovo volume a firma degli economisti Emmanuel Saez e Gabriel Zucman della University of California, dal titolo significativo “The Triumph of Injustice” - Il trionfo dell'ingiustizia - in uscita la prossima settimana. Saez e Zucman, assieme al collega Thomas Piketty, sono da anni in prima fila negli studi e nel dibattito sulla crescente sperequazione nella societa' statunitense. Zucman si è guadagnato di recente la copertina della rivista Bloomberg Businesweek con il soprannome di “wealth detective”, poliziotto della ricchezza.

Il loro ultimo j'accuse, che ha già trovato eco alla viglia della pubblicazione nei mass media americani a partire dal Washington Post e dal New York Times, analizza le aliquote effettive a carico degli americani nella storia. Uno sforzo considerato senza precedenti. Come senza precedenti appare la sua conclusione: che nel 2018 l'aliquota delle imposte per le 400 famiglie più abbienti del Paese è stata in realtà pari al 23 per cento. Vale a dire di oltre un intero punto percentuale inferiore a quella invece versata dalla metà meno abbiente dei cittadini del Paese, che si e' attestata al 24,2 per cento.

RICCHI E POVERI ALLA PROVA DELLE TASSE

RICCHI E POVERI ALLA PROVA DELLE TASSE

È una realtà, quella della diseguaglianza fiscale, che è peggiorata - e di molto - nel corso dei decenni. Nel 1980 quella stessa fascia, le 400 famiglie più ricche, avevano sulle spalle una aliquota effettiva pari a ben il 47 per cento. Per non parlare degli anni Sessanta, quando raggiungeva il 56 per cento. Ancore prima, negli anni Cinquanta, stando alle stime saliva fino al 70 per cento. La percentuale pagata dalla metà più povera della popolazione è al contrario rimasta sostanzialmente invariata nel corso del periodo esaminato.

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Il volume dà nuova sostanza alle ripetute denunce anche da parte di numerosi finanzieri e imprenditori di successo - l'esempio più noto è forse quello dell'Oracolo di Omaha Warren Buffett - che hanno denunciato di pagare imposte troppo basse, soprattutto quando paragonate a quelle dell'americano medio. Nel caso di Buffett, della sua stessa segretaria. Ma le analisi di Saez e Zucman potrebbero oggi influenzare anche il dibattito politico durante la campagna elettorale presidenziale.

I due economisti tengono infatti conto della vasta riforma delle tasse varata dall'amministrazione di Donald Trump nel 2017, che ha abbassato l'impatto dell'erario anzitutto sulle fasce più benestanti a colpi di riduzioni di aliquote top, di svuotamenti dell'imposta di successione, di esenzioni e risparmi per il business. In particolare potrebbero offrire argomenti a chi invoca la necessità di riforme per cambiare direzione: gli economisti ricordano come il Massachusetts, in secoli passati, stabilì un'imposta patrimoniale, un'idea adesso accarezzata dalla candidata della sinistra democratica Elizabeth Warren per finanziare iniziative di lotta proprio alle ingiustizie e alle eccessive disparità. Come ha detto Zucman all'opinionista del New York Times David Leonhardt, i livelli di tassazione non sono iscritti nella roccia: “Le società possono scegliere il livello di progressività nelle imposte che vogliono”.

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