AnalisiL'analisi si basa sulla cronaca e sfrutta l'esperienza e la competenza dell'autore per spiegare i fatti, a volte interpretando e traendo conclusioni. Scopri di piùMercati obbligazionari

Tassi, il Bund risale sopra «quota zero». La sua rincorsa continuerà?

Banche centrali più aggressive nel 2022: negli Usa i titoli a 2 anni oltre l’1%. Ma i costi maggiori non faranno deragliare le finanze italiane

di Maximilian Cellino

Aggiornato il 19 gennaio 2022 alle ore 9.30

La Borsa, gli indici del 18 gennaio 2022

3' di lettura

Per un Bund tedesco decennale tornato a rendimenti positivi per la prima volta dal maggio 2019, c’è un Treasury Usa che buca la soglia dell’1% per la scadenza a due anni e punta dritto verso il 2% sul 10 anni. Le cifre tonde quando si parla di tassi di interesse non rivestono particolare significato economico o finanziario, ma che vi sia fermento nel mondo obbligazionario in questo avvio di 2022 e possibili tensioni per i mesi a venire è fuori discussione. A dare il ritmo ai mercati sono le banche centrali, con le loro mosse per accompagnare la ripresa economica e soprattutto scongiurare il surriscaldamento dell’inflazione.

Il cammino verso la normalizzazione dei tassi, e in particolare la riduzione delle ingenti misure di stimolo messe in atto per contrastare la crisi pandemica, avviene però con passo differente nel mondo, e con diversi i riflessi sugli investimenti, bond e non solo. L’atteggiamento delle banche centrali si è senza dubbio fatto ovunque più «aggressivo» da dicembre, ma con i tre rialzi dei tassi attesi nel 2022 a partire da marzo e altrettante mosse restrittive possibili l’anno prossimo è la Federal Reserve a guidare la classifica. «Negli Usa l’attenzione si sta già spostando sul passo successivo, quel quantitative tightening che consiste nel lasciare che le obbligazioni acquistate raggiungano la scadenza ed escano dal bilancio della Banca centrale», nota Flavio Carpenzano, Investment Director per il reddito fisso di Capital Group.

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TASSI A CONFRONTO
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Attenzione alla forma delle curve

La manovra, che il mercato interpreta alla stregua di un sostituto o di un’ulteriore forma di aumento dei tassi potrebbe favorire un appiattimento della curva dei rendimenti, vale a dire una crescita più accentuata dei valori sulle scadenze brevi rispetto alle lunghe. «In questo modo - aggiunge Carpenzano - la Fed finisce per ridurre le aspettative di crescita e inflazione a lungo termine e contribuisce così a calmierare i rendimenti dei bond a lungo termine, che saliranno probabilmente a un ritmo contenuto anche a causa della domanda persistente degli investitori internazionali e dei fondi pensione attratti da tassi relativamente interessanti».

La Bce rimane relativamente accomodante rispetto alle altre Banche centrali, poiché non è previsto alcun aumento dei tassi nel 2022 e questo potrebbe comportare una curva più ripida e rendimenti dei Bund ancora in aumento nella prima metà dell’anno

Capital Group Flavio Carpenzano

Il «ritardo» di Francoforte

La situazione si presenta differente sotto molti aspetti al di qua dell’Atlantico, perché la Bce appare in «ritardo» nella propria opera di normalizzazione e radicalmente diversi sono anche i riflessi sui mercati. «L’Eurotower rimane relativamente accomodante rispetto alle altre Banche centrali, poiché non è previsto alcun aumento dei tassi nel 2022 e il suo piano di acquisti resta a tempo indeterminato», sostiene Carpenzano, facendo notare come tutto questo «potrebbe comportare una curva più ripida e rendimenti dei Bund ancora in aumento nella prima metà dell’anno, qualora l’inflazione dovesse persistere intorno al 3-4% e la disoccupazione continuare a diminuire».

La misura del rincaro...

Ma se la direzione dei tassi è in qualche modo prevedibile, ben più difficile appare al momento stabilire rapidità e ampiezza dei movimenti. In Europa molto dipenderà dal destino dei programmi targati Bce: gli analisti di Mediobanca Securities osservano per esempio che in passato il tasso del Bund è aumentato di circa 40 punti base quando gli acquisti legati ai piani di intervento sono diminuiti di 50 miliardi di euro al mese, scenario che potrebbe ripresentarsi nei prossimi mesi. Anche per questo il decennale tedesco (risalito nella prima mattina del 19 gennaio a +0,015%) viene indicato allo 0,30% a fine 2022 e il BTp di conseguenza all’1,60%, spread permettendo.

...e le conseguenze per le casse dello Stato

La buona notizia, secondo Mediobanca, è che pure in caso di un rincaro generalizzato dei tassi sovrani di 50 centesimi «il rendimento dei paesi più indebitati d’Europa rimarrebbe ben al di sotto dell’attuale costo del debito». Nel caso dell’Italia si tradurrebbe infatti in 13 miliardi di costi di finanziamento aggiuntivi, da spalmare però lungo l’intero periodo di durata del debito, pari a circa 7 anni. L’aggravio sarebbe insomma equivalente a circa 2 miliardi di spese per interessi l’anno e aggiungerebbe quindi ben poco al rapporto debito/Pil italiano.

Riproduzione riservata ©
  • Maximilian CellinoRedattore

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: italiano, inglese, tedesco

    Argomenti: Mercati finanziari, politiche monetarie, risparmio gestito, investimenti, fonti alternative di finanziamento, regolamento del sistema finanziario

    Premi: Premio State Street 2017 per il giornalista dell'anno - Categoria Innovazione

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