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Tassi, corsa alle sforbiciate delle banche centrali. Nel 2019 già 39 tagli

Di questo passo il totale dei tagli del 2018 (47) potrebbe essere agevolmente superato. Mentre sembra lontano il record di 207 tagli del 2009

di Vito Lops

3' di lettura

La Banca centrale d’Australia ha tagliato i tassi di 25 punti base, portandoli al minimo storico (1%). Si tratta della seconda riduzione in 30 giorni per Sidney dopo quella di inizio giugno. E si tratta della 39esima sforbiciata operata nel mondo da inizio anno da una banca centrale. In ordine cronologico, prima della Banca d’Australia, è stata quella della Repubblica Dominicana a tagliare i tassi portandoli il 28 giugno dal 5,5% al 5%.

È evidente - come conferma anche il calo globale dei tassi sulle obbligazioni con quelle a tasso negativo che viaggiano sui massimi di tutti i tempi - che il vento è cambiato. Di questo passo il totale dei tagli del 2018 (47) potrebbe essere agevolmente superato. Perché tanto le “piccole” quanto le “grandi” banche centrali sono direzionate ad attuare nuove manovre espansive.

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Gli investitori si attendono un taglio dei tassi (da 25 punti base o addirittura da 50) a luglio da parte della Federal Reserve. E nel complesso si aspettano che entro il 2020 la banca Usa riduca il costo del denaro 3 o 4 volte.

Entro fine anno anche la Bce dovrebbe tagliare il tasso sui depositi, stando all’andamento dei contratti future. Secondo un recente report di Morgan Stanley la Bce non si fermerà a nuovi tagli ma probabilmente riprenderà il programma di quantitative easing, ovvero di acquisto titoli sui mercati aperti per iniettare nuova liquidità.

La sensazione quindi è che nei prossimi mesi i tagli prevarranno nettamente sulle strette. Che in ogni caso, seppur minoritarie, non mancano. Su questo fronte si segnala il rialzo (di 25 punti base all’1,25%) operato dalla Banca centrale della Norvegia il 20 giugno e quello della Moldova che il 19 giugno ha portato i tassi dal 6,5% al 7%.

Manovrare i tassi è un’arma importante che le banche centrali utilizzano per provare a controllare il tasso di inflazione. Generalmente un rialzo dei tassi è sinonimo di un’economia in forte espansione (con il rialzo la banca centrale vuole evitare un surriscaldamento dell’inflazione generato dalla forte crescita dei consumi). Ma a volte, come nel caso dei rialzi annunciati a maggio da Zambia (al 10,25%) e Pakistan (al 12,25%) si tratta di manovre atte a evitare una fuga di capitali, attuate non perché l’economia cresce troppo ma perché sta perdendo appeal tra gli investitori (di solito questo accade quando un Paese ha un forte debito in valuta estera e una propria valuta debole).

Le manovre delle banche centrali e l’annessa teoria di controllare l’inflazione attraverso la leva dei tassi stanno però incontrando indubbie difficoltà negli ultimi anni. La Bce, ad esempio, nonostante abbia portato i tassi a “0” e già attuato un piano di quantitative easing immettendo oltre 3mila miliardi di euro attraverso il proprio arsenale di manovre espansive, sta facendo fatica a riportare l’inflazione vicino all’obiettivo del 2% (la media degli ultimi 10 anni è stata 1,2% e le previsioni per i prossimi 10 anni sono ancora all’1,2%). Un film già visto da oltre 20 anni in Giappone.

Questo sta facendo emergere nel dibattito accademico e politico nuove teorie, come la Modern monetary theory, che si focalizza più sulle politiche fiscali che non su quelle monetarie. Teorie tuttavia giudicate estremamente radicali.

Il nuovo trend di taglio dei tassi globali è comunque certamente legato al calo globale delle aspettative di inflazione, frutto di stime di rallentamento della crescita economica oltre che per problemi strutturali di alcune economie avanzate. Con ogni probabilità non verrà battuto il record di 207 strette registrato nel 2009 ma la direzione pare segnata.

twitter.com/vitolops

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