Tassi d’interesse, occhi puntati sulla spia dei salari
di Donato Masciandaro
3' di lettura
Quando e come i tassi saliranno? Tutto dipende dalla spia rossa che le banche centrali guardano: i salari. Ma i salari dipendono a loro volta anche da quello che i banchieri centrali dicono e fanno. Il sentiero sarà molto stretto.
Sul manuale del buon banchiere centrale le indicazioni sul cosa fare quando i prezzi salgono sembrano semplici e chiare. Se un aumento indesiderato dell’inflazione è sospinto da spesa, privata o pubblica, troppo esuberante, la politica monetaria deve diventare restrittiva. I tassi di interesse nominali, e possibilmente anche quelli reali, devono diventare più alti, per raffreddare la domanda aggregata. Se invece la crescita dei prezzi dipende da aumento di costi che colpiscono il sistema produttivo, due sono gli errori che la politica monetaria non deve fare. Primo: evitare una azione isolata e prematura sui tassi di interesse, perché l’effetto netto può essere quello di non evitare l’inflazione, ma aumentare la probabilità di una recessione. Secondo: ridurre il rischio che decisioni, o semplicemente dichiarazioni, abbiano un effetto destabilizzante sulle aspettative di inflazione, che si rifletterebbe sui salari, accentuando così gli effetti negativi sia sui prezzi che sulla produzione.
Ecco perché sia la Fed che la Bce stanno cercando di comprendere la natura dell’aumento dei prezzi, prima di iniziare la cosiddetta normalizzazione monetaria. La normalizzazione monetaria implica due cambiamenti: i tassi di interesse devono aumentare; la liquidità deve diminuire, cioè deve ridursi la dimensione del bilancio della banca centrale.
Negli Stati Uniti i banchieri centrali, nella loro ultima riunione a gennaio, hanno notato surriscaldamenti sia dal lato della domanda aggregata che in alcuni andamenti dei salari. Allo stesso tempo, è stata ribadita la scelta di una sequenza nella normalizzazione: prima l’aumento dei tassi di interesse, poi la riduzione della liquidità. Nell’area euro, il ciclo congiunturale è in una fase diversa, ma l’interrogativo di fondo rimane lo stesso: chiarire la natura dell’attuale crescita dei prezzi, e la misura in cui tale crescita può essere incorporarata nell’aumento dei salari, e quindi incidere permanentemente, e quanto, sulla dinamica dell’inflazione. Alla sfasatura congiunturale corrisponde anche uno sfasamento della strategia di normalizzazione: al momento, la Bce ha pianificato la graduale riduzione dell’attuale immissione mensile di liquidità, posticipando le decisioni relative ai tassi.
Entrambe le banche centrali sanno che la dinamica delle aspettative e dei salari dipenderanno anche da quelle che loro stesse diranno e faranno nelle prossime settimane. Nell’ultima conferenza stampa tenuta dalla presidentessa Lagarde, a precisa domanda – «vi sono segnali di surriscaldamento nei salari?» – è corrisposta una sua precisa risposta – «no» – con un successivo e utile chiarimento: la Bce non auspica la moderazione salariale, ma la osserva attentamente, per capire come possa influire sulla dinamica strutturale dei prezzi. L’auspicio che va invece aggiunto è che la banca centrale sia chiara e credibile in quello che dice e che fa, in modo da aiutare una formazione corretta delle aspettative di lavoratori e imprese.
Oggi, i dati messi a disposizione dalla Bce sulle aspettative di inflazione ci dicono due cose: l’attuale fiammata dei prezzi viene considerata temporanea; il rischio di avere una inflazione troppo bassa, o addirittura una deflazione, si è ridotto, rispetto agli anni 2014-2019. Quindi ci sono due buone notizie, ma nulla può essere considerato un risultato acquisito. Chiarezza e credibilità della politica monetaria saranno fondamentali. La revisione della strategia della Banca centrale europea è stato un passo nella giusta direzione. Dire che la bussola della Bce è un’inflazione al 2%, invece che «vicino, ma inferiore» ha reso l’impegno non solo più comprensibile, ma anche simmetrico. Occorre proseguire sulla stessa strada.
loading...