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Tassi su, liquidità giù. Il mix micidiale che spaventa le Borse in agosto

Il quadro di breve sembra poco favorevole al rialzo delle azioni che potrebbero soffrire la concorrenza delle cedole crescenti sui bond

di Vito Lops

(Adobe Stock)

3' di lettura

Tassi in (ri)salita. E liquidità in diminuzione. Nelle prime sedute di agosto sta andando in scena questo copione, lo stesso che ha, come effetto collaterale, mandato ko le Borse nei primi nove mesi del 2022.

Il downgrade a sorpresa del debito degli Stati Uniti da parte di Fitch di martedì ha fatto luce sulle debolezze sottostanti di un mercato fino alla scorsa settimana dominato dal sentiment rialzista. Ora c’è qualche crepa in più, che andrà approfondita nelle prossime sedute per smarcarsi dal canonico dubbio: siamo in presenza di semplici prese di beneficio o di qualcosa di più profondo? Le Borse europee hanno chiuso la seconda seduta di fila in rosso con il Ftse Mib di Piazza Affari in calo dello 0,94% e lo Stoxx 50 a -0,73%. Mentre Wall Street è partita con il segno meno ma poi ha visto il tecnologico Nasdaq rimbalzare e chiudere in terreno leggermente positivo. Questo nonostante, protagonisti indiscussi di giornata siano stati ancora una volta i bond. Venduti in particolare sulle lunghe scadenze che, di conseguenza, hanno visto risalire i rendimenti.

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L’INCROCIO PERICOLOSO
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I tassi dei titoli di Stato Usa a 10 anni sono saliti fino al 4,2%, avvicinando i massimi di questo ciclo toccati lo scorso ottobre in area 4,33%. I tassi a 30 anni si sono riportati in zona 4,3%, anch’essi ormai a una manciata di punti base dai rispettivi massimi di nove mesi fa (4,42%). A questi tassi sono agganciati i mutui statunitensi e va da sé che un loro movimento verso l’alto è potenzialmente di portata recessiva. Normalmente però, se il mercato fiuta l’arrivo di una recessione i tassi sulla parte lunga della curva iniziano a scendere, perché più sensibili alle variabili macro che non alle azioni sul costo del denaro a breve delle banche centrali. E invece in queste ultime sedute stanno salendo. Come mai?

«Ci sono diversi fattori che stanno portando pressione in vendita sui bond statunitensi a lunga scadenza - spiega Antonio Lengua, trader professionista specializzato nelle tecniche volumetriche -. L’economia Usa sta mostrando una incredibile resilienza come dimostra l’aggiornamento al rialzo del Pil del terzo trimestre, al 3,9% annualizzato, da parte della Fed di St. Louis. Il tutto in un contesto in cui il Tesoro ha annunciato un aumento delle emissioni di titoli per il terzo trimestre per far fronte al crescente costo degli interessi e alle manovre di deficit/spending. Senza dimenticare la spada di Damocle del Giappone: gli investitori giapponesi potrebbero infatti decidere di vendere i bond Usa rimpatriando i capitali verso i bond domestici. Otteniamo così un quadro complicato, che giustifica i recenti movimenti al ribasso sui bond. E non è detto che si sia esaurito».

Quindi ci sono tanto fattori endogeni (l’aumento delle emissioni per far fronte a spese crescenti) quanto esogeni. Questi ultimi riguardano le decisioni della Bank of Japan che sta provando a compiere qualche passo indietro rispetto alla politica ultraespansiva degli ultimi anni. La scorsa settimana la BoJ - che a differenza di Fed e Bce controlla anche i tassi a lungo termine - ha aumentato la banda di oscillazione dei bond a 10 anni dallo 0,5% all’1%. Il risultato è che i tassi del decennale nipponico stanno salendo e si sono portati allo 0,65%. Così stanno diventando attraenti per gli investitori domestici che stanno iniziando a smontare gli investimenti all’estero (quelli in Treasury ad esempio, considerando che oggi per un giapponese offrono rendimenti negativi conteggiando anche i costi di copertura del cambio dollaro/yen) a favore dei bond di casa. Se questo effetto dovesse proseguire avremmo un aumento della pressione in vendita sui titoli di Stato Usa, con conseguente ulteriore pressione al rialzo dei tassi.

«Potrebbe essere questo effetto domino sui tassi ad innescare quella recessione di cui finora si è tanto parlato ma che difatti non si è ancora palesata, nonostante la curva 10-2 anni, di solito premonitrice in caso di inversione, sia andata in testacoda da ormai 15 mesi - sottolinea Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte -. L’aumento dei tassi sul mercato secondario potrebbe aiutare le banche centrali nella lotta all’inflazione. Per chiudere il cerchio, non è da escludere un contagio nelle prossime sedute anche al mercato azionario, complice anche il fatto che la liquidità all’ingrosso, calcolata sottraendo al bilancio della Fed quella presente nel conto corrente del Tesoro e quella nel mercato dei reverse repo, è in contrazione ed è scesa sotto i 6mila miliardi di dollari. Uno storno delle Borse - conclude Cesarano - ridurrebbe l’effetto ricchezza che ha sostenuto i consumi degli americani, alimentati anche dal forte rialzo di Wall Street da inizio anno. Queste tensioni potrebbero durare fino al simposio di Jackson Hole di fine agosto quando i banchieri centrali potranno avere più frecce al proprio arco per impostare la nuova rotta».

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