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Telecom, in stand by l’operazione con Kkr ma difende l’asset

Il cda all'unanimità ha posto il controllo come condizione per qualunque riassetto

di Antonella Olivieri

(Agf)

2' di lettura

Sarebbe come chiedere alle Fs di rinunciare al treno per unire i binari con un ipotetico concorrente della rete: i passeggeri li trasporterebbe qualcun altro. Ma forse sarebbe anche peggio, perché togliere la rete a Telecom vorrebbe dire non solo privare la compagnia telefonica nazionale del suo principale asset, ma anche rinunciare ad avere un ruolo in un settore nel quale l’Italia eccelleva. E vorrebbe dire mettere a rischio qualcosa come 100mila posti di lavoro, tra Telecom e l’indotto. Nessun incumbent delle tlc in Europa ha perso la rete o è stato smantellato dal suo Governo che, spesso, è l’azionista di riferimento. British Telecom, che ha il modello di neutralità della rete più avanzato, ha separato “funzionalmente” Open Reach, ma ne detiene la proprietà al 100%. E, se mentre prima si era concentrata sul fisso, da qualche anno è anche nel mobile, avendo acquisito EE con l’ok incondizionato dell’Antitrust britannico.

Se per fare la rete unica Telecom deve firmare la sua condanna, logica vorrebbe che ci rinunciasse. Telecom ha già portato, quasi ovunque, la fibra ottica fino al “cabinet” (l’armadietto su marciapiede), ora le resta da completare la sostituzione del rame nella parte che arriva fino a dentro le case, operazione per la quale ha ritenuto di doversi fare aiutare da un partner finanziario che, dopo una lunga procedura, è stato identificato in KKR, un importante fondo di private equity americano. KKR ha presentato a fine luglio la sua offerta vincolante per rilevare il 37,5% della futura società della rete secondaria, in rame da convertire alla fibra, valutando l’intera newco (FiberCop ancora prima della nascita) 7,7 miliardi, di cui 4,7 di capitale e 3 di debito. In FiberCop confluirebbe anche FlashFiber, la joint per cablare 29 città con Telecom all’80% del capitale e Fasteweb al 20% che scambierebbe col 4,5% di FiberCop. Sarebbe stato meglio promuovere un aumento di capitale, che la Telecom privata non si è però mai azzardata a proporre. L’agenzia di rating Fitch ha messo in guardia sulla tenuta del merito di credito di Telecom che, con l’operazione di cui sopra, si diluirebbe al 58% nel suo asset più redditizio. È facilmente intuibile dove potrebbe scendere il rating se la percentuale di cash flow dalla rete scendesse a 0.

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Ora, l’operazione è stata sospesa su richiesta di due ministri, Gualtieri e Patuanelli, per verificare la possibilità di aggregare Open Fiber nel progetto rete unica. Ma per Telecom - e non per capriccio - la condizione sine qua non è l’integrazione verticale. A quanto risulta, il consiglio si è espresso all’unanimità sul controllo della rete come condizione imprescindibile per qualsiasi operazione, con o senza Open Fiber. A fine mese scade l’offerta di KKR e al consiglio, che si riunirà nuovamente per esaminarla, toccherà il compito di salvaguardare l’azienda, pur nell’anomala situazione in cui Elliott, l’azionista che ne ha espresso la maggioranza (10 componenti su 15), ha pressochè azzerato la sua quota; il primo azionista col 24%, Vivendi, è in minoranza; e Cdp, che ha quasi il 10% di Telecom e il 50% di Open Fiber, non è nemmeno rappresentata nel board.

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