ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùA tavola con

Teo Luzi: «Prossimità e vicinanza, la mafia finirà ed è decisivo il fattore culturale»

A tavola con il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri nella caserma dell’Uditore a Palermo, ricavata dalla villa dove Totò Riina ha vissuto fino alla cattura del 15 gennaio 1993

di Paolo Bricco

Mafia, arrestati il medico Giuseppe Guttadauro e il figlio: le intercettazioni dei carabinieri

6' di lettura

«A me piace camminare. Fra il 2007 e il 2012, ero comandante provinciale qui a Palermo. Quando, per andare a Palazzo di Giustizia, passavo a piedi dal mercato del Capo, nella parte araba del centro storico, i commercianti del pesce e della verdura urlavano “è arrivato u’ generale…”».

Teo Luzi, comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, è nella caserma dell’Uditore, ricavata dalla villa dove Totò Riina ha vissuto fino alla cattura del 15 gennaio 1993. Nella sala mensa della caserma, ci osserva con uno sguardo più ironico che marziale, la mano in tasca a mostrare una composta rilassatezza dello Stato a cui in Italia non si è mai abituati, Carlo Alberto Dalla Chiesa, ritratto in una fotografia in bianco e nero scattata a Corleone nel settembre del 1949, quando era alla guida di una compagnia del Comando forze repressione banditismo.

Loading...

Luzi, anche seduto a tavola, appare alto e robusto. Il carattere non ha nulla della rigidità militaresca. La sua cordialità, però, è rapida: evita formalismi o salamelecchi. Le grida benevole che quindici anni fa gli rivolgevano i commercianti del mercato del Capo chiudono il cerchio con l’accoglienza riservata a Leoluca Orlando, sindaco di una primavera di Palermo non ancora segnata da dissidi e incomprensioni, al mercato della Vucciria nel 1985, raccontata su Repubblica da Giorgio Bocca: “Coinnutu cu' parra male du sinnacu!”. «Rispetto agli anni 80 e 90, Cosa Nostra è depotenziata. I grandi traffici internazionali di cocaina appartengono alla ‘Ndrangheta», dice Luzi che, a Palermo, ha condotto l’operazione Perseo.

«Nel 2008 abbiamo disarticolato la commissione provinciale palermitana che Cosa Nostra aveva appena ricostituito con l’intento di ridare vita alla Cupola. Ora dobbiamo catturare Matteo Messina Denaro. Forse si nasconde in Sicilia, fra Palermo e Trapani. Magari scopriremo che si trova in Germania o a Dubai. Ma mi stupirebbe: la permanenza sul territorio è una costante per i capimafia».

Luzi versa ad entrambi, con gentilezza, un bicchiere di vino. «Assaggi questo pane. A Roma, il pane di Palermo mi manca. Qui lo infornano due o tre volte al giorno». Il vino è un nero d’Avola, etichetta «Centopassi» della cooperativa Placido Rizzotto di San Cipirello, prodotto con le vigne confiscate a Cosa Nostra. «Rizzotto era il segretario della Camera del lavoro di Corleone che scomparve la sera del 10 marzo 1948 – racconta pensieroso Luzi – ho studiato bene le carte giudiziarie. Dalla Chiesa aveva capito ogni cosa. Luciano Liggio, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano. C’erano tutti». Luzi mi porge una fotocopia dei documenti: «Il cadavere è frammischiato a delle pecore morte di recente», leggo nel rapporto dei carabinieri del 18 dicembre 1949: «Invitati al locale cimitero i famigliari del Rizzotto hanno riconosciuto appartenenti al proprio congiunto le scarpe, la cordicella elastica, la calza, nonché due frammenti di stoffa appartenenti ai pantaloni e al cappotto dello scomparso».

Le parole di quel rapporto del 1949 hanno una forza quasi biblica. Ieri e oggi. E ieri e oggi, nella ricerca umana di trasformare il male in bene, un elemento di mutazione di senso è rappresentato dalla nuova vita dei beni agricoli confiscati alla criminalità organizzata. Beni intimamente primari. Perché l’uomo non è solo ciò che prova – sicurezza e paura, amore e dolore, volontà di progetto e impulso di distruzione – ma è anche ciò che mangia. E, quando il cibo della terra è stato in mano ai criminali e adesso non lo è più, tastarlo e sentire il suo profumo, assaporarlo e nutrirsene assume un valore simbolico concreto e, quasi, conturbante. Per questo la cooperativa sociale “Lavoro e non solo” ha preparato per noi un menù con prodotti delle terre confiscate alle mafie del Sud.

Gli antipasti sono buonissimi. Iniziamo con mozzarella di bufala campana preparata dalla cooperativa “Le terre di don Peppe Diana-Libera Terra” a Castelvolturno, in una azienda agricola confiscata alla Camorra. Quindi, le zucchine grigliate della cooperativa Alterco-Terra Aut di Cerignola, in provincia di Foggia, a cui sono state affidate terre sottratte alla mafia garganica. Ecco, poi, i carciofi coltivati a Mesagne, in provincia di Brindisi, dalla cooperativa “Terre di Puglia-Libera Terra”, su appezzamenti tolti alla Sacra Corona Unita. «Assaggi queste, sono delicatissime: la frittura nemmeno si sente», suggerisce il generale, mentre mi porge il piatto ricolmo di panelle fatte con la farina di ceci del consorzio “Libera Terra Mediterraneo” di Corleone.

Il profilo

Teo Luzi, che è stato nominato comandante generale il 23 dicembre 2020 dopo il periodo nero dell’Arma culminato nella vicenda di Stefano Cucchi, si è laureato in legge alla Sapienza di Roma con una tesi sul segreto di Stato, ma non incute timore.

Nella sua apparenza romagnola esiste una bonomia solida e cordiale che non va scambiata per imprudenza o attitudine al compromesso: «Io e la mia famiglia siamo di San Giovanni in Marignano, nell’entroterra riminese, vicino a Cattolica. Mio padre Giuseppe aveva una piccola rimessa di autobus. Mia madre Serafina un negozio di alimentari. Le regole sociali romagnole non erano arcigne, ma andavano rispettate. Dai quattordici anni, due mesi delle vacanze estive erano destinate al lavoro. Ho fatto il barista in una pensioncina al mare e il magazziniere in una azienda, dove poi ho tenuto la contabilità. In Romagna il grande crimine non esisteva. Di giorno, da noi, le porte erano aperte. Si chiudevano gli uscii a chiave la notte. I furti nelle case iniziarono, a metà degli anni Settanta, con la diffusione dell’eroina. A Cattolica morì per droga il figlio di un albergatore: aveva tre anni più di me».

L’opera dei carabinieri forestali

Viene portato in tavolo il primo: tortiglioni con ricotta, pomodoro e speck. La pasta è della cooperativa Terramia di Castelvetrano, la ricotta della già citata cooperativa Le Terre di Don Peppe Diana e la passata di pomodoro della Alterco-Terra Aut di Cerignola. Beni sottratti a Cosa Nostra (Castelvetrano è il paese di Messina Denaro), Camorra e Sacra Corona Unita. Spiega Luzi: «È importante l’opera dei carabinieri forestali. Oggi l’Italia è segnata dalla transizione ecologica prevista dal Piano nazionale di ripresa e di resilienza e dalla nuova opzione civile e culturale dell’economia circolare. La tradizionale vigilanza sui rifiuti fa il paio con il contrasto alle scorrettezze sugli ecobonus, sulle quote di emissione di carbonio e sull’ecologismo di facciata di imprese che, con la menzogna e la frode, attirano finanziamenti e investimenti riservati alle aziende autenticamente green».

È ampio (e antico) il catalogo del degrado imposto alle città e alla natura dalla cattiva gestione degli uomini mescolata alle attività illegali di altri uomini. «Nel 1959 – ricorda Luzi – Palermo fu devastata dalla speculazione edilizia. L’assessore comunale ai Lavori pubblici, nella giunta del sindaco Salvo Lima, era Vito Ciancimino. Nel 1969 fu costruito lo Zen, il quartiere diventato un’isola di solitudini, assenza di infrastrutture e criminalità».

Negli scantinati dei condomini dello Zen a lungo si sono svolti i combattimenti illegali di cani con gli animali morenti affidati ai bambini che salivano sui tetti per farli sfracellare a terra: «Quando c’era un incendio noi carabinieri entravamo nel quartiere per scortare le autobotti dei vigili del fuoco che, sennò, venivano spogliate di tutto. Abbiamo aperto la prima stazione allo Zen. La prossimità e la vicinanza sono importanti tanto quanto la prevenzione e la repressione. Il lavoro culturale è indispensabile. Nell’estate del 1994, un anno dopo la morte di don Pino Puglisi, i bambini del Centro Padre Nostro dovevano fare una gita al mare. I pullman per portarli a Mondello erano i nostri. Al raduno del mattino, i loro genitori si rifiutarono di farli salire. Pochi mesi fa, 200 ragazzi dei quartieri più duri di Palermo sono venuti cinque giorni a Roma e, per una intera giornata, sono stati nostri ospiti alla caserma Palidoro, dove c’è il reggimento a cavallo. Hanno visitato le scuderie. Hanno visto lo spettacolo del carosello a cavallo. È stata una cosa piccola ma bella. E, credo, utile».

Ricordando Sciascia

Arriva uno spettacolare piatto di arance di Lentini e di clementine di Gioia Tauro: le prime coltivate dalla cooperativa Beppe Montana, dal nome del commissario ucciso da Cosa Nostra a Palermo nel 1985; le altre dalla cooperativa Valle del Marro.

Scriveva nel 1961 Leonardo Sciascia nel Giorno della civetta, il romanzo sulle indagini del capitano dei carabinieri Bellodi, sceso in Sicilia da Parma: «A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma...». Sciascia, con la linea della palma che saliva verso il Nord, indicava la diffusione della mafia nel resto del Paese.

Mentre il comandante generale mangia un cannolo di dimensioni felicemente pantagrueliche, a me viene in mente che la linea della palma esiste ancora ma – almeno qui a Palermo – sembra avere perso un poco della sua consistenza. Perché, anche nel sangue e nel dolore, «bisogna ricordare le parole di Falcone: la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una sua fine», dice bevendo il caffè Teo Luzi, il carabiniere venuto dall’entroterra di Rimini.

Riproduzione riservata ©

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti