Terapie digitali frenate dall’incertezza normativa
Nel mondo un mercato da 6,5 miliardi di dollari. In Italia cresce l’interesse dei venture capitalist (ma servono regole certe)
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La sanità digitale, e in particolare le Digital Therapeutics, in sigla DTx, sono una grande opportunità per l’Italia. Ci sono i fondi - 32 miliardi di euro complessivamente a supporto del sistema, in gran parte di fonte Pnrr, di cui 1,6 miliardi vincolati nella missione 4 a progetti digitali - le tecnologie, gli investitori privati, ma ancora mancano le normative adeguate. Il primo DTx Monitoring Report, presentato lunedì 23 ottobre a Roma, rileva, a livello globale, un mercato che nel 2022 vale 6,5 miliardi di dollari e comprende oltre 1.200 studi clinici da cui, per gli approfondimenti del Rapporto, sono stati selezionati 224 trials sulle terapie digitali. Gli studi sono concentrati equamente fra Usa (41%) ed Europa (41%), dove il Paese più rilevante è la Germania (con il 47% degli studi europei) seguito da Uk (16%).
Il passo dell’Italia
L’Italia segue da lontano, con tre studi in corso. Eppure nel nostro Paese, frenato dalle incertezze normative, sono già attive nello sviluppo di terapie digitali 12 imprese, (8 start up innovative, 1 start up non innovativa e tre aziende). Di queste, sono scansiti in totale 26 prodotti, di cui sei sono già provvisti della certificazione oggi ammessa di «dispositivi medici», i rimanenti 20 in attesa di entrare anche loro a far parte della specifica banca dati.
La presentazione del primo DTx Monitoring Report, sviluppato da Indicon SB e Università degli Studi di Milano, è stata promossa dal gruppo interparlamentare per la Sanità e le Terapie Digitali presieduto dall’onorevole Simona Loizzo, presso la Sala Zuccari del Senato, dove sono stati messi a confronto i diversi attori del sistema fra cui Istituzioni, Aifa, Agenas, società scientifiche, esponenti del mondo confindustriale e delle imprese farmaceutiche.
In Italia, complice la mancanza a oggi di una definizione di digital therapeutics riconosciuta in maniera univoca a livello globale, urge definire precisi iter di test, approvazione, controllo e classificazione. Le terapie digitali (farmaci somministrati via app, con smartphone e pc, con un software come principio attivo anziché una sostanza chimica) sono ancora inquadrate fra i dispositivi medici al pari di siringhe o cerotti, eppure non mancano le risorse finanziarie: il Rapporto, sviluppato dal Digital Health Policy Lab coordinato da Paola Minghetti, ordinario di tecnologia, socioeconomia e normativa dei medicinali dell’Università di Milano, fa notare che l’intero segmento a cui può attingere la sanità digitale ammonta a oltre 32,150 miliardi di euro, mettendo assieme la componente pubblica e quella privata. La fonte pubblica incide in quota determinante, attraverso i Ministeri (della Salute, dell’Università e della Ricerca e delle Imprese e del Made in Italy), gli enti a emanazione pubblica come Cdp Venture Capital e la Fondazione Enea Tech e Biomedical.
Il valore degli investimenti
«Le DTx rappresentano investimenti dalle straordinarie potenzialità: in America raccolgono 1,5 miliardi di dollari, in Germania 600 milioni di euro, in Italia siamo appena in partenza», ha spiegato Elena Paola Lanati, ceo di Indicon SA che ha presentato il core del Report, i dati e la loro analisi. «Siamo di fronte ad attività tipiche da Venture Capital, caratterizzate da cicli di vita più brevi rispetto ai grandi investimenti industriali, possono garantire delle exit più rapide. Lo sviluppo e l’applicazione delle terapie digitali hanno il potenziale per attivare gli investitori privati per contribuire a rimodellare il panorama sanitario, fondendo farmaci, dispositivi e software innovativi. È un campo sfidante per la finanza e per le imprese, oltre che per gli operatori sanitari e per i pazienti».
La quota di capitali privati evidenziata dal DTx Monitoring Report è in rapida crescita, pur se ancora limitata in valore assoluto, secondo le stime del Rapporto, a causa dell’incertezza degli aspetti normativi e regolatori del settore: in questa casella sono inseriti i 650 milioni circa da parte di 6 Venture Capitalist distribuiti in 12 diversi fondi, e i 22,150 milioni con cui gli incubatori/acceleratori, in modo generalistico o specifico, finanziano start up operanti nella Digital Health.
La questione dei dati personali
Infine, ma non ultima fra i nodi da sciogliere nelle scelte regolatorie per le DTx, c’è la questione dei dati personali e del loro impiego, fondamentale per avvalersi dei vantaggi delle terapie digitali. Le normative europee impongono che queste siano supportate da forti misure di protezione. I dati clinici, scambiati grazie alla diretta e continua possibilità di connessione fra medico, struttura sanitaria e paziente, migliorano l’efficacia e l’aderenza delle terapie, le decisioni cliniche e aprono nuove opportunità per la ricerca medica. La mancanza di standardizzazione nella raccolta e gestione dei dati è un’ulteriore questione, che va a sommarsi alle sfide legislative e tecniche - fa notare il Rapporto - e che chiede urgenti risposte.
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