Terrorismo, condanna di 25 anni all’oppositore che ispirò il film Hotel Rwanda
Paul Rusesabagina, 67 anni, è stato accusato di appartenere a un gruppo terroristico. La replica: processo farsa, pago per le critiche a Kagame
di Alb.Ma.
3' di lettura
Un tribunale del Rwanda ha condannato a 25 anni di carcere Paul Rusesabagina, un oppositore dell’attuale presidente Paul Kagame, noto per aver salvato oltre 1.200 vite durante il genocidio del 1994. Rusesabagina, raccontato nel 2004 dal film «Hotel Rwanda», è stato accusato di appartenere «un gruppo terroristico che ha condotto raid in Rwanda, uccidendo civili, ferendone altri e saccheggiando proprietà», come recita la sentenza pronunciata dalla giudice Beatrice Mukamurenzi.
Rusesabagina era detenuto dal 2020, dopo essere stato arrestato con un mandato di cattura internazionale dal governo ruandese per nove diversi capi di imputazione. La sentenza lo ha riconosciuto colpevole di otto, a partire da quello di terrorismo. I suoi legali e i famigliari sostengono che l’intero processo sia una montatura per giustificare motivazioni politiche: le critiche aperte di Rusesabagina a Kagame, accusato di derive autoritarie e di un «nuovo genocidio» contro la maggioranza hutu del Paese.
Da eroe a nemico pubblico
Rusesabagina, 67 anni, ha lasciato il Rwanda nel 1996, trasferendosi prima in Belgio (dove ha ottenuto la cittadinanza) e poi negli Stati Uniti con la famiglia. Si ritiene che abbia salvato oltre 1000 persone durante il genocidio del Rwanda, offrendo rifugio nell’hotel che dirigeva a membri perseguitati della minoranza Tutsi e ai cosiddetti Hutu «moderati», ostili a un massacro etnico costato la vita a oltre 800mila cittadini nell’arco di 100 giorni. La vicenda è salita alla ribalta globale con la pellicola del 2004, in una ricostruzione hollywoodiana che ha scatenato più di una critica in patria. Anche al suo protagonista, accusato di aver cavalcato la popolarità a spese dei sopravvissuti alla strage.
Rusesabagina, insignito nel 2005 della medaglia presidenziale della libertà negli Usa, è diventato negli anni uno degli oppositori più visibili della presidenza di Paul Kagame, guidando per un certo periodo il gruppo di opposizione Movimento rwandese per il cambiamento democratico. Kagame, guerrigliero tutsi e leader del Fronte patriottico rwandese, si è conquistato un certo plauso internazionale per i ritmi di crescita economici e la stabilità del paese, arrivato a sfiorare un rialzo del Pil del 10% nel 2019. Ma è anche accusato di una gestione autocratica del paese, attuata con la violazione dei diritti umani e l’eliminazione fisica di dissidenti. Lo stesso modello di sviluppo economico non è rimasto indenne da critiche, con il sospetto che il governo avesse manipolato le statistiche per alleviare i tassi di povertà e offrire un quadro più appetibile agli investitori internazionali.
Il giallo dell’arresto, le accuse e il processo «farsa»
L’arresto di Rusesabagina risale a fine agosto 2020, quando l’uomo politico è «sparito» nel corso di un viaggio aereo che pensava diretto in Burundi e si è invece risolto con l’atterraggio e la sua cattura in Rwanda. La famiglia ha parlato di rapimento e dichiarato che sarebbe stato condotto nel paese d’origine contro la sua volontà, una circostanza smentita dai giudici. Rusesabagina si è sempre dichiarato innocente e ha rifiutato di presentarsi alle udienze del processo, classificando come una «farsa» l’indagine sul suo conto e ritenendo che il verdetto fosse da imputarsi alla sua dissidenza contro Kagame.
L’accusa che gli è valsa la condanna a 25 anni, ridotta rispetto alle richiesta originaria di ergastolo, è di aver sostenuto il braccio armato del Movimento rwandese per il cambiamento democratico, il Fronte Nazionale di Liberazione, autore di attentati costati la vita a nove civili fra 2018 e 2019. In un video pubblicato sempre nel 2018 su YouTube, Rusesabagina ha esortato alla resistenza armata, sottolineando che il cambiamento non si sarebbe potuto raggiungere con «mezzi democratici». Rusesabagina, a quanto riporta l’agenzia Associated Press, ha testimoniato di aver aiutato la formazione del gruppo armato per assistere rifugiati, senza sostenerne però le violenze e dissociandosi dagli attacchi. La portavoce del governo rwandese, Yolanda Makolo, ha scritto su Twitter che le prove a carico di Rusesabagina sono «indiscutibili».
I gruppi di difesa dei diritti umani ritengono comunque l’arresto e la condanna una parte integrante delle politiche di repressione del governo di Kagame, ri-eletto nel 2017 con il 99% dei consensi e accusato dalla Ong Human Rights Watch di detenzione arbitrarie e tortura. Lo stesso processo, denuncia ancora associazioni come Human Rights Watch e Amnesty International, si è svolto in circostanze che hanno leso i diritti di Rusesabagina. Karine Kanimba, figlia di Rusesabagina, ha dichiarato che la famiglia era certa del verdetto. «Gli è stato negato l’accesso ai suoi legali, a un team internazionali, persino ai suoi avvocati rwandesi - ha detto, secondo quanto riporta l’agenzia Reuters - Ha avuto accesso limitato a loro ed è stato tenuto in isolamento per 250 giorni». Il Belgio ha criticato il verdetto, sostenendo che il suo cittadino «non ha ricevuto un processo giusto ed equo, in particolare per quanto riguarda il diritto a una difesa» ha detto il ministro degli Esteri Sophie Wilmes in un comunicato.
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