Terzo Valico: in 30 a giudizio, anche Salini e i Monorchio
Nel mirino della Guardia di finanza e dei pubblici ministeri Francesco Cardona Albini e Paola Calleri il sistema con cui venivano smistati gli appalti da parte del general contractor individuato dallo Stato per la realizzazione della nuova linea (53 chilometri di cui 37 sotterranei, valore superiore ai 6 miliardi)
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Molte gare per il Terzo Valico ferroviario, in particolare quelle per i tunnel tra Liguria e Piemonte, sarebbero state truccate «costantemente». Per questo il gup di Genova ha rinviato a giudizio oltre 30 persone. Tra questi Pietro Salini, Ad di WeBuild (accusato di turbativa d'asta); Giandomenico Monorchio (turbativa d'asta e corruzione), imprenditore e figlio dell'ex ragioniere generale dello Stato Andrea ( quest'ultimo inquisito per turbativa d'asta, avrebbe fatto da sponsor al figlio); Ettore Incalza (turbativa d'asta), storico “grand commìs” delle maxi-opere, che si sarebbe speso per Monorchio .
Salini, sempre agito nel rispetto della legge
«Ho appreso del mio rinvio a giudizio con molta amarezza - è stato il commento di Salini - . Ho sempre agito nel rispetto della legge e nell'interesse del Paese a cui sono destinate le grandi infrastrutture che costituiscono la passione della mia vita e della nostra azienda. “Webuild, che ho l'onore di dirigere, è parte lesa nel procedimento».
Lo scoglio della prescrizione
Tra gli altri imprenditori figurano Stefano Perotti e Duccio Astaldi. L'iter giudiziario sul Terzo Valico (alta velocità ferroviaria Genova-Milano) potrebbe tuttavia infrangersi contro lo scoglio della prescrizione, che per la stragrande maggioranza delle contestazioni scatterà entro la metà dell'anno prossimo.
Sotto la lente il sistema di smistamento degli appalti
Nel mirino della Guardia di finanza e dei pubblici ministeri Francesco Cardona Albini e Paola Calleri era finito il sistema con cui venivano smistati gli appalti da parte del general contractor individuato dallo Stato per la realizzazione della nuova linea (53 chilometri di cui 37 sotterranei, valore superiore ai 6 miliardi). Tutto ruota intorno al Cociv, consorzio formato in origine da Salini-Impregilo, Società condotte d'acqua e Civ: tre soggetti privati che, proprio nel particolarissimo ruolo di general contractor, si sono trovati a gestire un fiume di denaro pubblico. Ed è per questo che la Cassazione ha assimilato i suoi vertici e componenti a manager e funzionari “incaricati di pubblico servizio”.
Indagine tra Genova, Roma e Firenze
L'indagine, nella quale erano confluiti pure i filmati di mazzette consegnati ad alcune figure di secondo livello, era nata a Genova poiché qui aveva sede il Cociv, ma si è a un certo punto ramificata anche tra Roma e Firenze. A inguaiare Salini nel filone genovese è in particolare una telefonata con l'ex presidente Cociv Michele Longo (anch'egli rinviato a giudizio). Il primo chiedeva di escludere il cugino Claudio, che aveva lasciato nel 2005 l'azienda di famiglia per crearne una autonoma ed è poi morto in un incidente stradale, e il secondo lo rassicurava. I legali di Salini hanno sempre ribadito che nella conversazione contestata il loro assistito si raccomandava semplicemente di scegliere società in grado d'essere efficienti, capaci di gestire maxi-appalti «e immuni dal sospetto d'un potenziale conflitto d'interesse». Salini ha rimarcato che «in tutte le conversazioni contestate si fa riferimento ad appalti ormai non modificabili: ci sarà modo di dimostrare la buona fede durante il processo».
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