Green economy

Tessile e Esg, come si sta attrezzando il settore per allinearsi alla sostenibilità

Dalla linea d’intimo a impatto zero CO2 agli articoli sportivi PFC free. Ecco alcuni esempi di aziende pronte per la sfida della nuova economia verde

di Daniela Russo

(Adobe Stock)

4' di lettura

Una linea di intimo che dichiara il proprio impatto ambientale e ne compensa le emissioni di CO2, l’impegno costante nella riduzione delle sostanze chimiche per l’outdoor che porta a un nuovo brand 100% PFC free (sostanze chimiche pericolose per l’ambiente), un laboratorio innovativo dove il ricorso alle tecnologie consente di dare nuova vita all’invenduto: la moda italiana cambia pelle e non guarda solo all’ambiente ma fa del sociale e della governance i cardini della trasformazione in atto. In Europa, nel 2019, secondo Euratex - Confederazione Europea dell’Industria Tessile, il settore tessile e dell’abbigliamento contava circa 160 mila aziende, per un fatturato di 162 miliardi di euro. Un comparto che «rappresenta dal 20 al 35% dei flussi di microplastica nell’oceano e supera l’impronta di carbonio dei voli internazionali e dello shopping messi insieme», come emerge da The State of Fashion 2021 di McKinsey.

Moda e nuove sensibilità

La nuova sensibilità che si sta affermando tra le aziende si traduce nel lancio di linee innovative e spesso nella pubblicazione del bilancio di sostenibilità, come nel caso del gruppo Pianoforte, cui fanno capo i brand Yamamay e Carpisa. Nel 2020, il gruppo registra incassi retail pari a 299,9 milioni di euro per 19,5 milioni di pezzi venduti. Nello stesso anno, l'impegno sul fronte della sostenibilità si traduce in un calo del 35% dell'energia consumata presso le sedi del gruppo e del 31% delle emissioni di carbonio, oltre che nell'approvazione da parte del consiglio di amministrazione della carta della sostenibilità.

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«Nel 2019 – racconta Barbara Cimmino, direttore Csr del gruppo Pianoforte – abbiamo ridefinito gli aspetti di governance, costituendo uno steering commitee a sostegno del gruppo di lavoro dedicato ai temi Esg. Dopo la pubblicazione del primo bilancio di sostenibilità siamo intervenuti sull'organizzazione, riportando nei brand la parte operativa e avvicinandoci alle tematiche di materialità, accelerando così le transizioni ambientale e digitale. Inoltre, nei cda delle aziende che compongono il gruppo abbiamo inserito un membro indipendente donna con competenze Esg».

Sul fronte dei prodotti, l'ultima novità è Sculpt Zero, linea di intimo modellante che compensa le emissioni di carbonio. Un progetto realizzato in collaborazione con AzzeroCO2, società di consulenza per la sostenibilità e l'energia fondata da Legambiente e Kyoto Club.

La carbon footprint della linea nata nel 2014 è pari a 134 tonnellate di CO2: per compensare le emissioni, Yamamay ha sostenuto un progetto di sviluppo di energia rinnovabile in Sri Lanka, Paese in cui la linea viene prodotta.

Diritti umani e PFC

Anche il gruppo Oberalp, attivo nello sviluppo e produzione di articoli per gli sport di montagna con sei marchi propri, declina la sostenibilità nel proprio modello aziendale e nei prodotti. Ha pubblicato la sesta edizione del report di sostenibilità “Contribute”, con focus su tutela dei diritti umani, circolarità, gestione delle sostanze chimiche.

Nel 2021 l’organizzazione non-profit Fair Wear Foundation ha conferito al gruppo il titolo di Leader per il quinto anno consecutivo, un riconoscimento assegnato ai marchi che si impegnano per garantire il miglioramento delle condizioni di lavoro nell'industria tessile. Il 60% della produzione Oberalp proviene dall'Asia, il 40% dall'Europa: il 92% dei prodotti è realizzato in fabbriche monitorate e il 72% del volume complessivo della produzione è generato da partner di lungo corso (oltre 5 anni).

«I nostri fornitori – spiega Ruth Oberrauch, group sustainability manager del gruppo Oberalp – sostengono i valori che ispirano la nostra attività. Abbiamo un network consolidato, vere e proprie partnership che ci portano a condividere anche investimenti in ricerca e sviluppo».

Nel 2020, il gruppo Oberalp, che vanta un fatturato 2020 pari a 235 milioni di euro e impiega oltre 800 risorse, ha continuato anche il percorso verso la circolarità. L'azienda altoatesina, inoltre, ha adottato la Oberalp Chemical Policy per la valutazione di conformità di fornitori e materiali, una politica che poggia su requisiti e standard più severi di quelli imposti dalla legge. Nel 2020 sono più di 4.500 i test chimici effettuati presso laboratori esterni.

«Lavoriamo per ridurre la presenza di sostanze PFC nei nostri prodotti – aggiunge Oberrauch –. LaMunt, il nuovo marchio, è stato sviluppato 100% PFC free, le pelli Pomoca lo sono diventate, così come i tessuti con membrana Powertex di Salewa». La riduzione delle sostanze PFC è una sfida per tutte le aziende attive in ambito sportivo.

In Europa, la norvegese Helly Hansen si propone di eliminarle entro il 2023. «Le prossime collezioni di sci e outdoor autunno-inverno 2021 presentano il doppio dei prodotti con trattamento senza PFC rispetto alla scorsa stagione e la collezione primavera-estate 2022 presenterà l’80% di prodotti durable water repellent senza PFC», racconta Rebecca Johansson, Helly Hansen sustainability and R&D manager.

Come gestire l’invenduto

Tra le sfide che la sostenibilità pone al settore c'è anche quella della gestione degli invenduti. Nasce da questa consapevolezza il progetto D-refashion lab di D-house, spin-off dell'abruzzese Dyloan, che si propone di rivisitare, attraverso il ricorso alle tecnologie più avanzate, i capi invenduti.

Il progetto è frutto di un'idea di Loreto di Rienzo, direttore D-house laboratorio urbano, e Stefano Micelli, professore di economia e gestione delle imprese all'università Ca' Foscari di Venezia. Marina Spadafora è la sustainability advisor. Attraverso le tecnologie di D-house e la collaborazione di fashion designer, interior designer, artisti e creativi, l'azienda propone 4 diversi “pacchetti di personalizzazione” e, grazie al team grafico, offre la possibilità di vedere, in anteprima digitale, le possibilità di customizzazione.

Un modo per ridurre gli sprechi di materiale e impostare una linea di produzione più consapevole. Le tecnologie – che spaziano dalla stampa 3D alla termosaldatura - consentono la modifica di abbigliamento, accessori e tessuti. «Il nostro progetto – spiega di Rienzo – offre la possibilità ai grandi brand di affrontare il problema delle rimanenze di magazzino. Stiamo dialogando con diversi marchi e alcuni stanno valutando la strategia più idonea per l'eventuale inserimento di questi capi, anche delle piattaforme di e-commerce sono interessate alle opportunità offerte dal progetto».

Dyloan, circa 18 milioni di fatturato e 120 dipendenti, da sempre punta sulla sostenibilità, investendo anche nella formazione del proprio personale e nell'uso di energie da fonti rinnovabili. «Le tecnologie contribuiscono a ridurre l'impatto ambientale, favorendo il ricorso a processi standardizzati che permettono di intervenire sugli sprechi», sottolinea di Rienzo.

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