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Tessili, la nuova proposta europea congela l’Epr italiana

Si punta a un regime di tariffe obbligatorie e armonizzate in tutti Paesi. In Italia già pronti a partire i consorzi per il riciclo tessile, ma la normativa è in stand by

di Alexis Paparo

(Adobe Stock)

3' di lettura

Non è ufficiale, ma la sensazione è che il sistema italiano di responsabilità estesa del produttore (Epr) nel settore tessile rimarrà nel congelatore. Lo scorso 5 luglio la Commissione europea ha infatti pubblicato i suoi piani per la revisione della direttiva quadro sui rifiuti, che comprende i tessili, con la proposta di istituire dei sistemi Epr obbligatori e armonizzati per tutti i Paesi Ue, con tariffe che varieranno in base al livello di inquinamento causato. L’obiettivo è quello di finanziare, tramite i contributi versati, gli investimenti in sistemi di raccolta, cernita, riutilizzo e riciclaggio, anche in relazione all’obbligo di raccolta differenziata del tessile che la direttiva 2018/851/Ue fissa al 2025 e che l’Italia ha anticipato, facendola entrare in vigore dal 1° gennaio 2022. Si punta anche a incoraggiare la ricerca e sviluppo di tecnologie per la circolarità del settore, come il riciclaggio da fibra a fibra, e frenare l’esportazione di rifiuti tessili camuffati da materiali riutilizzabili verso Paesi non attrezzati per gestirli. I tempi sono però lunghi – la proposta deve essere esaminata dal Parlamento europeo e dal Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria–, e si inframezzano alle elezioni europee, previste fra meno di 11 mesi.

La situazione italiana

E l’Italia? La filiera del riutilizzo si è conquistata negli anni il suo spazio, con un sistema di raccolta differenziata che deve crescere, ma esiste – secondo gli ultimi dati Ispra nel 2021 si attesta a 154.200 tonnellate, a fronte di una produzione, secondo stime di Ecocerved, di 480mila tonnellate. La filiera del riciclo, che ha come punti cardine l’ecoprogettazione e l’innovazione tecnologica capace di trasformare il flusso del post consumo in nuova materia prima, è invece tutta da costruire. Per farlo, il Mase aveva avviato nel febbraio scorso uno schema di decreto per istituire l’Epr di prodotti tessili di abbigliamento, calzature, accessori, pelletteria e tessili per la casa, coinvolgendo direttamente produttori, distributori, gestori del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, cooperative e onlus, prefigurando l’istituzione di un centro di coordinamento, il Corit. Una bozza da cui sono emerse diverse criticità in merito alle modalità di raccolta e al ruolo dei soggetti interessati che hanno portato a una revisione del provvedimento, ancora mai approdata sul tavolo degli attori della filiera.

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Sull’onda dell’obbligo di raccolta differenziata, in un anno e mezzo sono nati vari consorzi: Re.Crea, coordinato dalla Camera nazionale della moda; Ecotessili, Cobat Tessile, Retex.Green, lanciato da Sistema moda italia (Smi) per citarne alcuni. Tutti sono in attesa del decreto che renda operativo il sistema. Se non mettere a punto l’Epr, Smi ritiene importante che Mase e Mimit riprendano a brevissimo le consultazioni, per definire una posizione unitaria italiana sul tema, da spendere a livello comunitario.

«È difficile dare una tempistica per la seconda bozza – spiega Giancarlo Dezio, direttore generale del consorzio Ecotessili –. La proposta della Commissione europea potrebbe offrire una sponda all’esecutivo italiano nello scrivere un decreto già in linea con le indicazioni comunitarie. Al momento, la data certa è il 2025, quando in Europa entrerà in vigore l’obbligo della gestione dei rifiuti tessili in una logica Epr». Dezio segnala che le imprese sono molto attente e che fra adesioni e lancio, a inizio luglio, della campagna di preadesioni al consorzio, Ecotessili rappresenta oltre il 10% del comparto italiano. Sono in stand-by anche progetti innovativi legati alla raccolta. «Nel 2022 ne avevamo lanciato uno che non è stato possibile realizzare a causa dei tempi di stesura della bozza di decreto e l’incertezza sui contenuti. Il progettò però è valido e sarà attuato appena il quadro di riferimento lo consentirà», conclude Dezio.

«Quel che finora è cambiato – sottolinea Andrea Fluttero, presidente di Unirau (Unione imprese raccolta riuso e riciclo abbigliamento usato) – è che i comuni si stanno lentamente adeguando all’obbligo di raccolta differenziata del tessile: prima che entrasse in vigore solo il 70% dei comuni italiani la garantiva. Da gennaio ho ricevuto 120 segnalazioni di attivazioni o miglioramenti del servizio di raccolta offerto ai cittadini». La differenza con gli altri tipi di raccolta è che l’obiettivo principale è la preparazione per il riuso: «La fortissima disomogeneità dei materiali rende difficile la produzione di nuovo filato e finora ha reso conveniente la selezione finalizzata a estrarre le parti riutilizzabili e a reimmetterle sul mercato. Al momento, circa il 60% di quanto raccolto è subito utilizzabile e il 30% viene trasformato in pezzame industriale o materie prime seconde. Il vero problema sarà il riciclo di ciò che non è riusabile», conclude Fluttero.

Emerge l’importanza dei futuri 23 impianti di riciclo tessile che hanno ricevuto finanziamenti Pnrr (investimento 1.2D), come l’hub che nascerà a Prato, uno dei maggiori distretti industriali d’Italia e centro tessile europeo (si veda la scheda).

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