Texas, il gelo manda in blackout il cuore energetico degli Stati Uniti
Milioni di persone senza luce e riscaldamento, chiuse fabbriche e raffinerie
di Marco Valsania
3' di lettura
La morsa del grande freddo polare ha stretto d’assedio gli Stati Uniti. Dal Texas alla North Carolina, ha mietuto decine di vittime e lasciato milioni di persone alla mercè degli elementi. Ha paralizzato produzione energetica e reti elettriche di intere regioni, bloccato cruciali attività industriali e tecnologiche. Ha palesato la vulnerabilità di infrastrutture essenziali del Paese, anzitutto nel centro e nel sud, improvvisamente aggravata dai colpi del cambiamento climatico.
Epicentro del dramma è il Texas, vero e proprio hub energetico del Paese, capace di generare il doppio del secondo stato in classifica, la Florida. All’apparenza un paradosso. Ma il Texas ha scontato le temperature più basse da oltre una generazione e la propria impreparazione, con oltre quattro milioni di residenti rimasti senza corrente. L’emergenza ha “congelato” fonti tradizionali e fossili di energia, a cominciare da centrali a gas naturale e a carbone. Come anche fonti rinnovabili e alternative quali l’eolico. Ha bloccato il Permian Basin, il più grande giacimento per il fracking di greggio e gas. E le gigantesche raffinerie.
Non è solo il Texas nel mirino. Il gelo ha ingolfato numerosi stati, ha provocato oltre 30 morti, dalla Louisiana al Kentucky e al Missouri. Ben 150 milioni di americani, metà della popolazione, vive in aree dove è scattato un allarme metereologico. Il 75% del Paese è sotto coltri di neve. E le ripercussioni, dalla salute pubblica all’economia, si moltiplicano: si sono arrestate campagne di vaccinazione contro il Covid. E, nuovo ostacolo a una ripresa della crescita, si è aggravata la carenza di microprocessori, già alimentata da domanda e difficoltà di produzione legate alla pandemia. Nel corrridoio tech texano di Austin, stabilimenti di chip di Applied Materials, Samsung, Infineon, Flex e Nxp sono stati raggiunti da interruzioni forzate o volontarie chieste dalle authority per cercare di salvaguardare la rete elettrica. E il rischio è che stop di simili attività complesse si trascinino con danni miliardari ed effetti a catena diffusi, dagli smartphone all’auto. Il maltempo ha già sbarrato impianti di Gm, Ford, Toyota dal Texas all’Indiana, come 500 centri commerciali Walmart.
L’impatto delle temperature artiche scese sul Paese è anche politico. Ha intensificato il dibattito a Washington tra sostenitori e oppositori di strategie contro l’effetto serra e per un Green New Deal. I repubblicani hanno messo sotto accusa anzitutto boom incentivati di fonti rinnovabili, in particolare l’eolico in Texas, che si sarebbe rivelato fragile. I democratici hanno ribattuto che la crisi ha mostrato come sono invece le fonti tradizionali, oggi preponderanti, a non aver retto all’urto, dal gas al greggio. E che sono venuti alla luce eccessi di deregulation e carta bianca ai privati, con serie carenze di investimenti nella resilienza della rete. L’amministrazione di Joe Biden ha in programma piani di investimenti in infrastrutture e transizione energetica come pilastro di un rilancio dell’economia post-Covid.
Le polemiche scuotono con particolare violenza il Texas, dove sono scattate inchieste. Oltre metà della popolazione conta sull’elettricità per il riscaldamento. E blackout estesi hanno colpito 1,4 milioni di residenti di Houston e un quarto degli abitanti di Dallas. Scene di mobili bruciati contro il freddo si sono mischiate a tragici incendi e intossicazioni letali. La somma di più fattori ha reso pesante il bilancio locale. Tutto era, più che altrove, mal protetto da maltempo record: le aziende del settore sono sotto accusa per aver risparmiato sulle precauzioni, scommettendo sul clima abitualmente meno rigido del Texas. A cominciare dai protagonisti di quel 70% di fabbisogno locale che dipende ancora da gas e carbone. Il Texas è il primo produttore Usa sia di greggio (41%) che di gas (25%). Fonti rinnovabili sono certo in ascesa, con lo stato che vanta il 28% dell’eolico Usa. L’eolico risponde tuttavia ad un più modesto 23%, sceso al 10% in inverno, del fabbisogno elettrico del Texas.
Un’aggravante, per il Texas, è il suo “separatismo” da Texas First, anche nella rete elettrica. Risale agli anni Trenta: per evitare una supervisione federale stabilita da Roosevelt, decise una gestione autonoma. Creò la propria rete slegata dalle due principali del Paese, a Est e Ovest. La rete “libera” texana, gestita dalla non profit locale Ercot, non esporta nè importa. Un isolamento che impedisce rinforzi da oltreconfine e si è tradotto, oltre che in paura e tragedie, in impennate del 10.000% nei prezzi dell’elettricità.
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