SPECIALE VENEZIA / LE INTERVISTE DI “IL”

The Disciple, ecco perché sarebbe una vittoria significativa

Il mondo nei film di Venezia 77 va alla deriva, ma il film dell'indiano Chaitanya Tamhane (nel progetto ha investito anche Alfonso Cuaron) è l'allegoria più rappresentativa dello stato dell'arte in questo momento, difficile da accettare

di Federica Polidoro

3' di lettura

Di tanti film passati in questa controversa edizione, in cui giornalisti, attori e registi che sono riusciti ad essere presenti hanno subìto controlli continui e ripetuti, hanno girato bardati con guanti e mascherine, sanificandosi le mani fino a consumarle, che memoria rimane?

Di quest'anno di interviste a volto coperto, lontani due metri o col filtro di uno schermo che ha compresso migliaia di chilometri di distanza, privando del brivido dell'incontro dal vivo, cosa resterà?

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The Disciple, ecco perché sarebbe una vittoria significativa – Nel progetto ha investito anche Alfonso Cuaron

Con lo sfondo apocalittico dei fatti d'attualità e quello tragico delle guerre, dei genocidi, degli aborti, degli orfanotrofi iraniani, delle bombe in Medio Oriente, dell'alienazione parentale che si sono susseguiti nelle sale, spettatori ipossici, isolati a scacchiera, hanno cercato l'opera d'arte degna del Leone d'Oro. Tutti i presenti (e gli assenti, da remoto) in nome dell'inestimabile quanto incomprensibile passione per il cinema, hanno dato il massimo per aiutare l'industria, per ripartire, per dare un segno di vita a una realtà che sembra senza futuro.

Su un'isola come il Lido di Venezia, spesso inospitale, e ormai solo spettro del fasto che fece innamorare Thomas Mann, si gioca a scacchi col destino. Il braccio di ferro con i milioni di visualizzazioni di un popcorn che esplode a rallenty su YouTube, con una twerk challenge su Tik Tok o con un tutorial dell'uomo qualunque esperto di nulla su Facebook, è impossibile. E senza star hollywoodiane, senza glamour, senza i sogni prefabbricati nei teatri di sala di Tinsel Town, che nutrono il nostro immaginario da cent'anni, il vuoto diventa una voragine incolmabile.

In queste ore inoltre la notizia nefasta di una certa riforma per l'eleggibilità dei film agli Oscar, che prevede una burocratizzazione delle quote, una costipazione dell'arte nei range del politically correct, fissato in percentuali matematiche, promuovendo l'inclusione come un nuovo modello di conformismo, è un'ulteriore stangata sull'industria. Allora in questo panorama, invece di distrarsi col caos ambientale, con l'autismo della propaganda politica di tutti i colori, col rumore bianco del sensazionalismo mediatico, sarebbe più opportuno concentrarsi sulla causa piuttosto che sugli effetti.

Il mondo nei film di Venezia 77 va alla deriva, ma The Disciple dell'indiano Chaitanya Tamhane è l'allegoria più rappresentativa dello stato dell'arte in questo momento, difficile da accettare. Il protagonista, si ostina, nonostante l'evidenza, a voler studiare, promuovere e conservare la musica classica dell'Indostan. Si impegna, studia giorno e notte, si accontenta di una condizione economica di minima sopravvivenza, idealizza i suoi maestri e le loro vite, sacrificandosi per “la causa”. Con un moto, in apparenza inerziale, insiste a perseguire quella strada di ricerca mistica che non promette altra ricompensa che il piacere di percorrerla in estasi, che si nutre di sé stessa, ignorata dalla società materialista per la sua inutilità.

Quel folle che nella notte guida la moto su una strada senza fine, riflette allo specchio lo spettatore che guarda il film. Tra lui che resiste alienato nel suo posto, coi sedili intorno tutti sigillati, il naso all'insù perso in quello schermo che per natura contiene l'oggetto del desiderio che non si può mai possedere, e Sharad Nerulkar che promuove una musica che non interessa più a nessuno, c'è tutta la comunità cinematografica, musicale, letteraria e artistica di oggi.

Il progetto di Chaitanya Tamhane, sin dall'inizio, è stato appoggiato anche da Alfonso Cuaron, che compare tra i titoli come produttore esecutivo. Tamhane per il Leone D'Oro.

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