«The Painted Bird», gli orrori della guerra visti con gli occhi di un bambino
In concorso a Venezia il film del regista ceco Václav Marhoul e «Guest of Honour» di Atom Egoyan
di Andrea Chimento
2' di lettura
La Shoah vista attraverso gli occhi di un bambino: si potrebbe riassumere così «The Painted Bird», film in bianco e nero di quasi tre ore, diretto dal regista ceco Václav Marhoul.
Inserito in concorso, racconta di un bambino ebreo che, nell'Europa dell'Est ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, viene mandato dai genitori a vivere in campagna con un'anziana madre adottiva, nella speranza che possa salvarsi dalle persecuzioni antiebraiche. Rimasto solo, proverà sulla propria pelle ogni forma di crudeltà e di violenza.
Tratto dall'omonimo romanzo di Jerzy Kosinski, «The Painted Bird» è un titolo per cui c'erano grandi aspettative, in particolare a fronte di una lavorazione durata quasi dieci anni.
L'apparato visivo è notevole, ma c'è una folle insistenza sulle caratteristiche violente dei vari personaggi che il piccolo protagonista incontra lungo il suo cammino. In questa galleria di brutalità, soprusi e umiliazioni di vario genere, c'è soprattutto uno sguardo registico eccessivamente compiaciuto: anche per raccontare gli orrori dalla guerra, serve una certa delicatezza, che manca completamente a Marhoul e alla sua messinscena poco sincera.
I diversi episodi che seguono questo percorso di formazione, inoltre, danno vita a una struttura troppo frammentata, che rende ancor più difficile il coinvolgimento.
All'interno di un concorso veneziano che quest'anno sta regalando enormi soddisfazioni, «The Painted Bird» è fino a oggi il film meno riuscito e più irritante.
In lizza per il Leone d'oro anche un altro titolo piuttosto trascurabile come «Guest of Honour» di Atom Egoyan.
Protagonista è Veronica, un'insegnante di musica che, in seguito a uno scherzo finito male, viene ingiustamente condannata per abuso di autorità nei confronti del diciassettenne Clive. Suo padre, Jim, cerca in tutti i modi di aiutarla, ma Veronica è convinta di meritare una punizione e vuole rimanere in prigione.
Quattro anni dopo «Remember», Egoyan torna in concorso al Lido con un thriller ricco di colpi di scena, che alterna il passato e il presente della protagonista.
Le sorprese non mancano, ma sono quasi tutte proposte nella prima parte del film, cosicché col passare dei minuti il coinvolgimento cala e si arriva al finale col fiato corto.
Egoyan aveva dato il suo meglio negli anni Novanta con film come «Exotica», «Il dolce domani» e «Il viaggio di Felicia», mentre negli ultimi tempi il suo talento si è decisamente annacquato, vittima di logiche commerciali e di sceneggiature didascaliche che in passato non facevano parte del suo cinema.
Infine, una menzione positiva per il corto italiano «Ferine» di Andrea Corsini, presentato all'interno della Settimana della Critica.
Al centro c'è una donna che raggiunge una villa in apparente stato di abbandono al confine tra la società civilizzata e il bosco selvaggio, dal quale è appena uscita a piedi nudi e sporca di fango.
Ed è proprio su questo confine che si gioca un prodotto curioso e anticonvenzionale, misterioso e affascinante, anche dal punto di vista formale.
Un bel biglietto da visita per il giovane Andrea Corsini (classe 1980) che intanto sta lavorando al suo lungometraggio d'esordio, «Sembra sapere di me».
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