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“The Zone of Interest”, film shock sulla Seconda guerra mondiale

In lizza per la Palma d'oro il nuovo lungometraggio di Jonathan Glazer. Tra i titoli presentati in competizione anche “About Dry Grasses” di Nuri Bilge Ceylan

di Andrea Chimento

3' di lettura

Si può ancora fare un film originale e capace di scuotere sulla Seconda Guerra Mondiale? La risposta è sì, se prendiamo l'esempio di “The Zone of Interest”, nuovo film di Jonathan Glazer presentato in concorso al Festival di Cannes.
In un'edizione della kermesse francese segnata da tantissimi ritorni (tra cui si può menzionare anche il quinto capitolo della saga di Indiana Jones, che purtroppo convince solo a metà), c'era grandissima attesa proprio attorno al regista inglese, che non girava un lungometraggio dal 2013, anno del controverso e affascinante “Under the Skin”.

Al centro della trama di “The Zone of Interest” c'è una famiglia tedesca che vive accanto al campo di concentramento nazista di Auschwitz durante la Seconda Guerra Mondiale.Primo lungometraggio in lingua non inglese per Glazer, “The Zone of Interest” è ispirato al romanzo omonimo di Martin Amis del 2014, dalla cui base narrativa è nata una pellicola che parte da un'idea di messinscena davvero notevole: le immagini non ci mostrano ciò che succede all'interno del campo di concentramento, ma si focalizzano sulla routine quotidiana dei personaggi, tra una madre intenta a far crescere i figli, le pulizie domestiche e un giardino da coltivare al meglio per fare bella figura con gli ospiti.Oltre le mura che segnano la fine della proprietà della famiglia, si vedono le torri e i tetti di Auschwitz, oppure il fumo dei treni che stanno arrivando nel campo.

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Un'esperienza fortissima e inquietante

Tali scelte estetiche rendono “The Zone of Interest” un'esperienza audiovisiva fortissima e inquietante, anche grazie all'impressionante lavoro fatto sul sonoro, sia nella gestione dei sinistri rumori del campo, sia per le musiche dal taglio elettronico di Mica Levi, compositrice di film come “Jackie” di Pablo Larraín, “Monos” di Alejandro Landes e del già citato “Under the Skin”.Per il suo rigore formale possono venire in mente le pellicole di Michael Haneke, ma il film più paragonabile è “Il figlio di Saul” di László Nemes, pellicola presentata sempre a Cannes nel 2015, che raccontava un'esperienza in un campo di concentramento con scelte audiovisive altrettanto originali e alienanti.Notevole anche la conclusione del lavoro di Glazer, che compie un azzardato gioco di sguardi tra passato e presente. Per sua stessa natura, “The Zone of Interest” è un film che potrebbe anche dividere, ma sta di fatto che siamo di fronte a uno dei lavori più interessanti visti fino a oggi in questa edizione del Festival di Cannes.

About Dry Grasses

Sulla Croisette è intanto tornato anche Nuri Bilge Ceylan, che aveva alzato il premio più ambito della kermesse nel 2014 con “Il regno d'inverno”.L'autore turco ha presentato in concorso il suo nuovo film, “About Dry Grasses”, e spera di rientrare ancora una volta nel palmarès del Festival che l'ha reso uno dei suoi beniamini assoluti.Protagonista è Samet, un insegnante in un istituto di un piccolo villaggio dell'Anatolia orientale che ha il grande desiderio di trasferirsi un giorno a Istanbul: l'uomo deve completare un ciclo di quattro anni di insegnamento in attesa di essere accettato in una scuola nella capitale, ma un evento del tutto imprevisto fa crollare le sue speranze.Lui e un suo collega vengono accusati di comportamenti inappropriati da parte di due studentesse della scuola e sarà per lui l'inizio di un incubo da cui non sarà semplice svegliarsi. Come per “The Zone of Interest”, anche in questo caso siamo di fronte a un'esperienza di visione che non lascia indifferenti: a colpire nel segno è soprattutto una sceneggiatura che parla con grande forza di tematiche morali, di relazioni sociali e di rapporti umani.Aperto da immagini di un paesaggio totalmente innevato, “About Dry Grasses” gioca col simbolismo della natura e con una serie di dialoghi di grandissima pregnanza teorica e drammaturgica, soprattutto quando è in scena il protagonista insieme a una ragazza che potrebbe aiutarlo a superare il momento difficile.È indubbiamente una visione ostica (sono quasi 200 minuti) e non tutte le sequenze risultano necessarie, ma il disegno d'insieme regge alla distanza e regala anche diversi passaggi di grande cinema. Ottima prova del protagonista Deniz Celiloglu.


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