«Ti senti più albanese o più italiano»?
I Balcani al centro del festival Polis che si è svolto a Ravenna dal 2 al 7 maggio
di Antonio Audino
4' di lettura
Il festival Polis, che si è svolto a Ravenna dal 2 al 7 maggio, occupa un posto tutto particolare nella rete delle manifestazioni teatrali italiane, per un suo specifico carattere, per le chiare linee di riflessione e di programmazione, per quel clima piacevole capace di dar vita a un vitale scambio di idee, intrecciate nel passare da un teatro all'altro, tra un dibattito e un incontro dopo lo spettacolo, tra operatori, artisti e pubblico. La rassegna, organizzata dalla compagnia ErosAntEros, si dedica ogni anno ad un ambito geografico particolare, andando ad indagare sulle questioni più scottanti di una determinata zona del mondo.
Balcani
Quest'anno la lente veniva posta sui Balcani, un territorio tanto complesso, per questioni politiche e sociali, quanto ricco di storia e di tradizioni culturali. Così arrivavano in diversi spazi della città elaborazioni sceniche con al centro alcuni dei temi più scottanti riguardo a quelle terre, il più evidente dei quali rimane, comunque, quello delle identità etniche dopo la rovinosa caduta della Jugoslavia, che teneva in qualche modo e forzatamente unite le tante diversità.
Così in Dannato sia il traditore della patria sua! di Oliver Frlijć realizzato dagli attori dallo Slovensko Mladinsko Gledalisce di Lubiana, vengono mostrate le tensioni interne allo stesso gruppo artistico, in cui ci si interroga l'un l'altro con sospetto, chiedendo se i genitori siano serbi, croati, o sloveni, per connotare in questo modo chi si ha davanti, riaprendo la traccia ancora viva di conflitti sanguinosi, rivivificando odi viscerali, nell'ostinata e impossibile ricerca di un ben preciso solco per delimitare confini e diversità.
Klaus Martini
Sembra darci una più serena impressione rispetto a una questione così controversa Klaus Martini con PPP ti racconto l'Albania, in cui l'attore narra l'emigrazione dall'Albania in Italia dei suoi genitori, saliti su un barcone, con lui piccolino tra le braccia dei nonni a vederli partire, per poi raggiungerli quando sarebbe diventato più grande. E, ripensando in parallelo ai ragazzi italiani degli anni Quaranta fuggiti verso la Jugoslavia alla ricerca di una nuova vita e descritti da Pasolini ne Il sogno di una cosa, Martini insiste sulla domanda che si sente rivolgere più di frequente: “ ti senti più albanese o più italiano?” , interrogativo al quale lui stesso non riesce a dare una risposta univoca, perchè luoghi, figure e tradizioni della sua terra natale, sempre vivi, sono ormai indissolubilmente amalgamati con relazioni, abitudini ed esperienze della sua vita in Italia.
Appariva poi tanto sinistra quanto ironica l'istallazione di Branko Šimić che, su una pedana rotante, ci mostrava la statua dedicata al minatore di Husino, monumento in memoria dei lavoratori di una cittadina bosniaca insorti negli anni Venti, qui ricostruita con tessere di specchio dalle quali rimbalzavano colorati bagliori da discoteca, con la figura immobile nel suo slancio eroico e coraggioso a raccontare il suo ruolo di testimone dei tanti cambiamenti di quella collettività, fino al neo capitalismo di oggi, non meno condizionante e oppressivo di una dittatura. E ancora dalla terra albanese arrivava Vergine giurata di Jeton Neziraj con la regia di Erson Zymberi a svelarci il mondo di quelle donne che, secondo un'antica tradizione, possono decidere di considerarsi uomini e di vivere da maschi, venendo così accettate da tutta la comunità, e questo permette loro di avere delle proprietà e altre infinite possibilità altrimenti negate. Qui si immagina una “burrnesh” (così vengono definite) scritturata per uno spettacolo londinese a metà tra talk show e musical su tema gender, mettendo quindi a confronto l'immaginario attuale dell'occidente con un'usanza così remota.
Uno dei momenti più importanti del cartellone del festival, seppur lontano dal contesto geografico analizzato, era senza dubbio lo spettacolo Libia, della compagnia che organizza la manifestazione. La narrazione scenica prende come punto di riferimento il reportage di Francesca Mannocchi trasformato con Gianluca Costantini in un'opera di grafic journalism. E qui, mentre sullo sfondo appaiono le immagini generate dal tratto nitido del disegnatore, tutto si dipana sul tappeto sonoro tessuto con attenzione e sensibilità da Bruno Dorella, in contrappunto con i due interpreti che, guidati dal regista Davide Sacco, ci obbligano a cambiare punto di vista rispetto a tante questioni legate a quel lembo d'Africa. Appaiono chiari, così, i tanti tasselli delle migrazioni, tra il bisogno di migliori condizioni di vita da parte di chi intraprende quei viaggi drammatici e le connivenze delle autorità con chi organizza i viaggi, il tutto gestito dalle milizie armate che, dalla caduta del precedente regime, da loro stesse provocata, dirigono il Paese in maniera violenta e illegale. Ma a tenere teso e vivo il racconto in scena è uno straordinario lavoro di tonalità vocali, rese più sospese e meno documentarie, più lucide e incisive, da due presenze di forte intensità come Agata Tomšić e Younes El Bouzari, con qualche accenno di canto vibrante e doloroso.
“Polis Teatro Festival” Ravenna, in vari luoghi della città, dal 2 al 7 maggio .
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