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Tim, in arrivo l’offerta di Kkr da 20-23 miliardi per la rete

In arrivo l’offerta del fondo Usa: l’obiettivo è di arrivare alla firma dell’intesa a dicembre. Kkr è capofila di un consorzio che comprende il Mef

di Antonella Olivieri

(IMAGOECONOMICA)

4' di lettura

In arrivo l’offerta di Kkr per la rete Tim: l’obiettivo è di arrivare alla firma dell’accordo a dicembre. Nella lettera di accompagnamento Kkr si presenterà come capofila di un consorzio che comprende il Mef, ma non ancora espressamente F2i che ha bisogno di tempo per raccogliere le risorse necessarie.

L’offerta, questa volta vincolante, non dovrebbe discostarsi molto dall’indicazione iniziale di 20-23 miliardi in termini di enterprise value. La valutazione base per rete e Sparkle è di 20 miliardi, di cui circa 10 miliardi di equity e altrettanti di debito.

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A questo andranno aggiunti 3 miliardi di earnout al verificarsi di determinate condizioni. Due dei tre miliardi sono relativi all’ipotesi in cui si realizzi la cosiddetta “rete unica”, l’unione con Open Fiber (la società della rete in fibra che fa capo per il 60% a Cdp e per il restante 40% al fondo infrastrutturale Macquarie), e che si possano sfruttare sinergie. Ma se ne potrà parlare solo dopo il closing, non prima della prossima estate.

Sarà prevista una scadenza per la validità dell’offerta che normalmente è di un mese, ma non è detto che in questo caso sia così: il tema è rimasto in discussione fino agli ultimi giorni. Tim dovrebbe riunire quindi il cda entro i primi giorni di novembre per esaminare la proposta, dopo che gli advisor (Goldman Sachs, Mediobanca e Vitale & C.) avranno fatto le loro valutazioni.

L’operazione passerà dallo scorporo della rete e dal contestuale trasferimento dell’infrastruttura alla Netco nella quale confluirà anche la rete d’accesso che sta sotto FiberCop, oggi 37,5% Kkr, 4,5% Fastweb e 58% Tim. Sparkle, analogamente protetta dal golden power, è destinata a passare interamente sotto le insegne pubbliche. La valutazione della società dei cavi internazionali, che inizialmente era intorno a un miliardo, sarebbe stata ritoccata un po’ verso il basso, mentre la rete dovrebbe stare sopra i 19 miliardi.

Tim comunque non incasserà tutti i 10 miliardi della parte equity dell’offerta, perchè a questi vanno detratti gli 1,8 miliardi che Kkr ha già pagato per entrare in FiberCop.

Il Tesoro è stato autorizzato a rilevare fino al 20% della Netco, oltre il 100% di Sparkle, da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di fine agosto, per un importo complessivo fino a 2,5 miliardi. Il parere della Corte dei conti, per verificare la rispondenza ai parametri di legge dell’intervento del Mef, sarebbe arrivato venerdì, ma alle voci il Tesoro ha opposto un «no comment».

Da parte sua F2i, la Sgr infrastrutturale guidata da Renato Ravanelli che ha prenotato una quota del 10-15% della Netco, ha iniziato a lavorare al lancio di un fondo dedicato con l’obiettivo di raccogliere 1 miliardo, raccolta che, per affiancare il Tesoro nella Netco, dovrà essere completata prima del closing.

Per dare una risposta a Kkr potrebbe non bastare a Tim un solo cda, che ne ha già un altro in calendario l’8 novembre per i conti del trimestre. Il cda dovrà valutare anche come strutturare l’iter decisionale dell’operazione. Sono stati messi agli atti, ancorchè non discussi, tre pareri giuridici – chiesti da Tim a Piergaetano Marchetti, Giuseppe Portale e Andrea Zoppini – che concordano sul fatto che spetti al consiglio deliberare sullo scorporo della rete e che l’assemblea non sarebbe invece necessaria, salvo che si vogliano interpellare comunque gli azionisti, a scopo consultivo, per verificarne il gradimento.

Già si conosce la posizione di Vivendi, primo azionista col 23,75% del capitale ordinario, insoddisfatta del prezzo spuntato e preoccupata della sostenibilità di Tim, una volta privata della rete. In un’assemblea straordinaria, dove si delibera con la maggioranza dei due terzi del capitale presente, Vivendi avrebbe gioco facile a fermare lo scorporo, semplicemente astenendosi, come aveva fatto otto anni fa bloccando la conversione delle azioni di risparmio che avrebbe diluito la sua quota.

Da affrontare anche il tema dei potenziali esuberi di Tim che, secondo fonti sindacali, potrebbero aggirarsi intorno alle 8-10mila unità, esuberi difficilmente gestibili con gli strumenti ordinari. Dei circa 40mila dipendenti, un po’ più della metà, circa 21mila, dovrebbero essere trasferiti alla Netco. Tim avrebbe comunque un organico troppo pesante a stare alle stime attribuite a Vivendi, secondo le quali per le attività rimanenti servirebbero non più di 8mila addetti.

Ma c’è un punto soprattutto che non è stato finora focalizzato nel dibattito e cioè che Kkr non è un operatore industriale bensì finanziario, che tra cinque anni sarà pronto a rivendere la rete, ovviamente guadagnandoci. Non è immaginabile che il Governo possa disinteressarsi del destino finale di un asset considerato strategico per gli interessi nazionali. Ma occorrerebbe anche chiedersi se, nel contesto attuale, non sia un azzardo la disintegrazione totale dell’incumbent tricolore, considerato che nessun altro grande Paese europeo ha finora tentato l’esperimento.

Tim ha messo in vendita il 100% della rete per abbattere il debito, aver le mani libere sul piano regolamentare e recuperare flessibilità per sviluppare le attività rimanenti dopo lo scorporo. Ma mantenere un minimo presidio nella rete (una piccola quota, ereditata da FiberCop, dovrebbe tenerla, almeno inizialmente, anche Fastweb) aiuterebbe a migliorare il rating piuttosto che il contrario.

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