Tim, con Kkr rete unica a rischio: con il fondo scorporo in 2-3 anni
La rete unica potrebbe rivelarsi un progetto irrealizzabile perché antieconomico. Labriola lavora sulle alternative. Cda convocato il 21 per la nomina dell'ad
di Antonella Olivieri
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I tempi dell’offerta di Kkr non sono compatibili con la rete unica. Dai contatti avviati con gli advisor che seguono la questione è emersa infatti una stima di 9-12 mesi per completare l’Opa e di 2-3 anni per il riassetto del gruppo con la societarizzazione della parte infrastrutturale e di quella commerciale. Solo dopo la rete dell’incumbent sarebbe offerta alla Cdp che, oltre ad avere quasi il 10% di Telecom Italia, è anche recentemente salita al controllo del 60% in Open Fiber, la società sfidante della rete in fibra che ha come partner il fondo infrastrutturale australiano Macquarie. Ma a quel punto la rete unica sarebbe un progetto irrealizzabile perché antieconomico. Nel frattempo l’imbarazzo sarebbe lo Stato in minoranza in un’attività strategica. Di fatto il termine ultimo per la rete unica è a metà di quest’anno, quando dovrebbero essere aggiudicate le gare per coprire con la banda ultralarga le aree grigie, quelle a metà tra le aree concorrenziali e quelle a fallimento di mercato.
Già col passare del tempo le sinergie possibili - che gli advisor tecnici di Telecom e Open Fiber (Italtel e Altman Solon) la primavera scorsa stimavano in 500 milioni/2 miliardi - si sono ridotte perché nel frattempo i lavori sono andati avanti nelle aree nere, dove il mercato è probabilmente in grado di reggere la concorrenza infrastrutturale, al punto che a fine anno in queste zone ci saranno due reti parallele, pressoché complete. La condizione minima per sfruttare le residue sinergie dell’integrazione tra le due reti è che non se ne costruiscano due anche nelle aree grigie dove il terreno è ancora vergine, perché già nelle aree concorrenziali o la rete di Telecom o quella di Open Fiber dovrà essere ceduta.
Se questa è la principale perplessità emersa a riguardo dell’offerta di Kkr, non è però l’unica. Si stima che per realizzare l’operazione tipica di un fondo di private equity/infrastrutturale il gruppo, che è già gravato da un debito complessivo che sfiora i 30 miliardi, dovrebbe assumersene sulle spalle altri 3-4 miliardi. Un peso forse eccessivo dato che Telecom, privatizzata sostanzialmente senza debiti, ha finito per ipotecare i beni di famiglia (vedi Inwit, dove la quota in trasparenza si è ridotta al 15%) per cercare di ridurre la leva, senza riuscire a risolvere il problema.
Un compito complesso
Ora la palla è nel campo del direttore generale Pietro Labriola cui spetta il complicato compito di mettere a punto un piano che non solo dimostri che Telecom può valere più del mezzo euro ipotizzato dal fondo Usa, ma che sia in grado al contempo di mettere d’accordo tutto l’eterogeneo azionariato. Per il mercato, che ha in mano più della metà del capitale, basterebbe forse soddisfare in modo credibile la prima condizione. Per convincere Vivendi, che ha speso 1,07 euro per mettere assieme la partecipazione del 23,9%, ci vorrebbe invece qualcosa in più che le indiscrezioni identificano nel controllo della ServiceCo, la società dei servizi commerciali, anche se il rischio è di incappare nell’obbligo di Opa.
ServiceCo peraltro potrebbe partecipare al consolidamento del settore della telefonia mobile, se ce ne fossero le condizioni. Cdp (si veda Il Sole 24 Ore del 2 gennaio) punta alla rete unica in tempi rapidi. Una scissione in una società dei servizi e una società della rete permetterebbe alla Cassa, conferendo la propria quota in Open Fiber, di assumere la maggioranza della società infrastrutturale senza passare da un’Opa.
La strategia di Kkr
I conti però bisognerà farli comunque con Kkr, che ha il 37,5% di FiberCop, la società nella quale è stata scorporata la rete secondaria di Telecom, da convertire dal rame alla fibra, nella quale l’ex monopolista conserva il 58% e Fastweb detiene il restante 4,5%. Kkr ha protetto il suo investimento da 1,8 miliardi con una serie di clausole e garanzie che comprendono anche una put al 2025 che, dovessero esserci scostamenti dal percorso delineato, permetterebbe al fondo di uscire dal capitale con un rendimento dell’8% all’anno. Kkr dispone inoltre, con più di un terzo del capitale, della minoranza di blocco per impedire operazioni straordinarie indesiderate su FiberCop.
Un bel rebus per Labriola che dovrà anche cercare di dimostrare che un percorso alternativo è fattibile. Il dg parte in pole position per la nomina a amministratore delegato che verrà fatta - come anticipato da Radiocor (gruppo Il Sole 24Ore) - nel cda convocato per il 21 gennaio, nomina che il presidente Salvatore Rossi vorrebbe fosse sostenuta da consenso unanime. La strada passa però dalla verifica sulle linee guida del piano che saranno oggetto di induction con i consiglieri in una riunione informale fissata per il 18.
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