Tim, il nuovo Cda appeso al rebus della maggioranza
di Antonella Olivieri
4' di lettura
Il riassetto Telecom è ben lungi dall’essere compiuto. Anzi, la vittoria assembleare del fondo Elliott, che ha prevalso su Vivendi, apre scenari inediti per un dossier che ora dovrà districarsi in un guazzabuglio giuridico senza facili vie d’uscita finanziarie. Il nuovo board è infatti per i due terzi espresso da una maggioranza che non può darsi per assodata, nel senso che i fondi per mestiere vanno e vengono.
Cdp, che per missione è investitore stabile, non è rappresentata in cda. Vivendi è minoranza in consiglio, ma esprime l’ad Amos Genish che avrà tutte le deleghe esecutive e i poteri gestionali. E soprattutto il 24% dei francesi è in grado di mettere sempre alla prova la maggioranza “occasionale”. Col rischio del “concerto” comunque in agguato, accordi tra Vivendi e Cdp sono da escludere, se non con il ridimensionamento della prima quota, che però il titolare non ha alcun interesse a frazionare per non disperdere il controllo potenziale, con annesso premio di maggioranza.
Elliott ha vinto la battaglia assembleare in Telecom, ma la certezza è che non è finita il 4 maggio e che il riassetto dell’incumbent nazionale è ancora ben lungi dall’essere compiuto. La situazione senza precedenti che si è venuta a creare è un guazzabuglio giuridico che, nel caso specifico, non ammette facili vie d’uscita finanziarie. Il nuovo board Telecom è composto per i due terzi da amministratori indipendenti espressi da una maggioranza che non si può dare per assodata, nel senso che i fondi vanno e vengono di mestiere: è un governo senza maggioranza stabile. Dall’altra parte c’è un azionista al 24%, Vivendi, che è minoranza in consiglio, ma esprime l’ad Amos Genish, che è anche direttore generale, e avrà, tranne quelle sulla sicurezza, tutte le deleghe esecutive e gestionali. Di stabile, per missione, da ultimo è spuntata nell’azionariato Cdp, vicina al 5%, che però non è rappresentata nel board.
Una “minoranza” come quella di Vivendi gode di ampi poteri. «Può tra l’altro chiedere di integrare l’ordine del giorno di un’assemblea, convocarla, chiederne il rinvio, impugnarne le delibere, promuovere azioni di responsabilità di minoranza, oltre a disporre del potere di denuncia al collegio sindacale e al giudice per gravi irregolarità», elenca Daniele Santosuosso, ordinario di diritto commerciale alla Sapienza di Roma, uno dei massimi esperti di diritto societario e golden power. È inoltre di fatto minoranza di blocco nelle assemblee straordinarie, in grado di fermare - come si è già dimostrato - la conversione delle azioni di risparmio o di impedire per esempio un’eventuale scissione della rete. In grado cioè di mettere sempre alla prova la maggioranza “occasionale”.
Gli avvocati di Vivendi stanno studiando come poter approfittare della sconfitta del 4 maggio per lo meno per liberare il loro cliente dai lacciuoli nei quali si è avvoltolato nel corso dell’ultimo anno vissuto pericolosamente. A partire dai vincoli del golden power che anche la nuova maggioranza “antagonista” si propone di rimuovere. E dal presupposto del controllo di fatto che si basa empiricamente su almeno due anni di maggioranza assembleare, interrotti dall’esito del assemblea di venerdì. Sul primo punto, osserva Santosuosso, «non può escludersi che prenda piede un’interpretazione sostanzialistica delle norme del Dl 21/2012, nel senso che la disciplina si applichi in certa misura anche nei casi di controllo di fatto (anche potenziale) che possa avere ricadute sulla gestione “degli attivi strategici”». Se cioè la finalità del legislatore del golden power è quella di consentire allo Stato di prendere contromisure laddove siano concretamente “a rischio” interessi strategici nazionali, «può essere rilevante una situazione di influenza ragionevolmente probabile».
Non ci sono precedenti, e quindi si possono fare solo ipotesi, ma nel caso in cui il golden power non fosse cancellato «legittimata passiva sarebbe in primis Vivendi, ma anche Tim, nella misura in cui “accetti” atti di influenza. In tal senso l’atto di conferimento della totalità delle deleghe a Genish potrebbe far sorgere qualche dubbio». Sul controllo di fatto, che ha implicazioni anche ai fini del consolidamento di Tim nei conti Vivendi e dell’impegno con l’Antitrust Ue a far cedere Persidera, la decadenza dell’assunto, su un solo episodio, potrebbe non essere così automatica.
C’è poi il rischio del “concerto” che sconsiglierebbe a Vivendi, vicina alla soglia d’Opa, di fare accordi pacificatori con chiunque detenga più dell’1%, sebbene il rischio sia più sensibile nei confronti di un investitore di lungo periodo, dunque stabile, come Cdp, piuttosto che nei confronti di un investitore finanziario, dunque più “volatile”, come Elliott. Questo significa che un eventuale accordo con Cdp non potrebbe che passare da un ridimensionamento della quota dei francesi, i quali tuttavia - con un prezzo di carico di 1,07 euro, ben distante dai corsi di Borsa attuali - hanno invece tutto l’interesse a tenersi stretta l’intera quota per rimontare in sella a Telecom alla prima occasione o per cederla tutta quanta col premio di maggioranza a un investitore strategico, golden power permettendo.
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