Time management, cosa significa oggi: siamo padroni del nostro tempo?
La gestione quotidiana è un problema complesso che non può essere affrontato con successo tramite un “protocollo” basato sull’efficientamento continuo
di Gianluca Rizzi *
4' di lettura
“Perdonami ma sono andato lungo nella call precedente”. “Scusatemi per il ritardo!”. “Prendiamoci 15 minuti tra le 13.45 e le 14.00… puntuale però eh, alle 14 ho un’altra call”. “Oggi sono full…nella mia agenda non c’è spazio per uno spillo!”. “Scusami ma ho avuto una giornata intensa e piena”. Si potrebbe andare avanti ancora a lungo e sono certo che ognuno di noi potrebbe alimentare questo elenco aggiungendo nuove classiche espressioni tratte dal repertorio quotidiano, oppure semplicemente adattando al proprio contesto quelle già proposte qui sopra.
Ci sentiamo sistematicamente a corto di tempo e viviamo questa dimensione oramai strutturale oscillando tra stati d’animo diversi, talvolta il senso di colpa, altre volte l'inquietudine, altre volte ancora la rassegnazione o, più semplicemente, la frustrazione che deriva dalla sensazione di essere meno padroni del proprio tempo.
E questa è solo la dimensione emotiva; bisognerebbe poi entrare nel merito di quella pratica e operativa per capire come questa condizione impatti sull’efficacia, sull’efficienza e sulla qualità del nostro lavoro quotidiano.
In questi ultimi tempi mi è capitato di ricevere, più spesso di quanto non accadesse in passato, richieste di supporto e consulenza per la progettazione di percorsi di formazione che riguardassero i temi dell’efficienza e dell’efficacia. In altri termini, come fare di più e meglio attraverso un uso più consapevole e parsimonioso delle risorse a disposizione.
Ho provato a riflettere sulle ragioni di questa apparentemente maggiore attenzione da parte delle organizzazioni al modo in cui le proprie persone utilizzano il tempo (e le altre risorse) e sono giunto a conclusioni che potrebbero sembrare persino banali: evidentemente si continua a chiedere alle persone di fare di più con meno, ma le persone non necessariamente sono dotate di competenze e attitudini utili per affrontare questa sfida con successo.
Facendo qualche ricerca per approfondire e aggiornare il tema del famigerato “time management”, mi sono imbattuto in un articolo di Dane Jensen, noto keynote speaker statunitense, autore e docente esperto di leadership, pubblicato su Harvard Business Review nel 2021. Il titolo mi ha subito colpito: “Time Management Won’t Save You” (il time management non ti salverà). All’inizio ho pensato che si trattasse del solito titolo acchiappa-clic, un po’ a effetto e capace di intercettare un pensiero latente molto diffuso. In realtà mi è sembrato di trovarci una proposta semplice, ma non semplicistica, per provare ad affrontare la sfida quotidiana sopra citata, intervenendo però sul paradigma.
Provo a spiegarmi meglio. Abbiamo oramai imparato a conoscere un po’ più da vicino la teoria della complessità e abbiamo scoperto che complicato e complesso non sono sinonimi. Un problema complicato richiede un approccio “procedurale” per la risoluzione; il classico esempio è il cubo di Rubik: per quanto apparentemente molto difficile da risolvere, basta seguire alcune semplici regole che definiscono un vero e proprio algoritmo di risoluzione e si arriverà all’esito finale senza particolari sorprese o fatiche.
Un problema complesso invece è caratterizzato dall’instabilità e dall’imprevedibilità delle relazioni tra le variabili che lo compongono. Risolvere un conflitto con un collega, ad esempio, non prevede una ricetta ottimale ma tante diverse soluzioni possibili e subottimali. Di una cosa possiamo essere abbastanza certi: applicare un “protocollo di risoluzione” a un problema complesso può essere molto rischioso poiché una soluzione valida ieri o altrove può non essere valida qui e ora.
Pensateci: la gestione del nostro tempo è un problema complesso e non può essere affrontato con successo tramite un “protocollo di risoluzione” basato sull’efficientamento continuo. Il time management non ci salverà nella misura in cui, non necessariamente attraverso un uso più efficiente del nostro tempo, sapremo essere più efficaci, sereni, concentrati e produttivi. Essere degli ottimi time manager può, per assurdo, comportare il rischio di un paradosso: ritrovarsi ancora più oberati di cose da fare.
Occorre dunque un lieve scarto paradigmatico che ci porti a vedere la questione del tempo e quindi anche dell’efficacia e dell’efficienza da una prospettiva lievemente diversa. Nell’articolo vengono suggerite tre modalità che vi propongo attraverso la mia parafrasi (sperando di non alterare il senso dei concetti immaginati dall’autore):
- Scegli, ovvero intervieni direttamente sul volume delle cose da fare e prima che tu venga contagiato dalla “sindrome della to do list” ovvero quella spiacevole sensazione tale per cui le cose da fare che entrano in lista sono di più di quelle che ne escono; scegli cosa davvero merita di stare nella tua lista.
- Semplifica, ovvero prendi una decisione che te ne risolve cento! Più realisticamente, piuttosto che decidere per ogni singolo cliente quale chiamare e quale no per proporre una nuova soluzione, decidi a monte un criterio che ti risolva le singole decisioni (ad es. chiamo solo i clienti che non sento da più di tre mesi).
- Struttura, ovvero poni degli argini seri e convinti alle distrazioni, di tutti i tipi, almeno per qualche ora al giorno quando hai bisogno di concentrarti.
Il cosiddetto New Normal ci ha posto di fronte a sfide radicalmente nuove rispetto a pochi anni fa. Ma noi, per tanti versi, siamo gli stessi di prima. È quindi normale essere tentati di affrontarle con le risorse consuete. Potrebbero non essere sufficienti. Un approccio “classico” al time management potrebbe non essere più attuale.
* Partner di Newton S.p.A.
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