«Tintoretto. L'artista che uccise la pittura» al cinema per tre giorni
Nelle sale il documentario biografico incentrato sulla vita e l'arte del grande pittore
di Andrea Chimento
3' di lettura
«Io confesso. Da sempre ho voluto fare il pittore, ma non un pittore qualsiasi. Volevo avere la mia visione, essere un vero artista. Il mio nome è Jacopo Robusti, ma tutti mi chiamano il Tintoretto»: si apre con queste parole «Tintoretto. L'artista che uccise la pittura», film che uscirà in numerose sale italiane per tre giorni.
È un incipit che già ci fa capire come la produzione abbia cercato di prendere il punto di vista del grande artista, nato a Venezia nel 1518, attraverso parole che sottolineano da subito la sua natura autonoma e indipendente, la “sua visione”.
Il segreto dell'arte del Tintoretto
Diretto da Erminio Perocco, il film vuole raccontare il segreto dell'arte del Tintoretto, la modernità delle sue pennellate che furono fonte di ispirazione per tanti artisti del Novecento, oltre all'attualità dei suoi capolavori e del suo genio inafferrabile.Accompagnato dalle musiche di Carlo Raiteri e Teho Teardo (quest'ultimo è stato il compositore de «L'amico di famiglia» e de «Il divo» di Paolo Sorrentino), il documentario ha una struttura narrativa semplice e dal taglio didattico, ma è ricco di suggestioni visive notevoli, capaci di rievocare le atmosfere del tempo, le luci e le ombre della città di Venezia e i colori dei preziosi pigmenti che giungevano nella Serenissima come in nessun altro luogo e di cui Jacopo, figlio di un tintore, sapeva servirsi con straordinaria maestria.
In questa sorta di diario filmato, con il personaggio di Tintoretto che sceglie noi spettatori come suoi confessori di timori e speranze, ciò che risalta è proprio l'animo inquieto dell'artista, disposto a tutto pur di contrapporsi alla moda dominante dell'epoca: fu il primo a sfaldare la pennellata, offrendo allo sguardo prospettive differenti all'interno dello stesso squadro, ottenendo così soluzioni coraggiose e in grado di dare vita a narrazioni complesse, tanto da assorbire lo spettatore fino a farlo sentire parte del quadro stesso.
Un regista cinematografico ante litteram
La particolarità e l'interesse di questo prodotto stanno inoltre nell'ottima capacità di associare l'arte di Tintoretto al cinema: una sorta di regista cinematografico ante litteram che, anche attraverso le sue esperienze teatrali, ha dato vita alla sua pittura, trasformando i quadri in azioni sceniche in cui la forza espressiva è dettata dai movimenti dei corpi. «Ammiravo Tiziano, ma anche Leonardo, Raffaello, Michelangelo. Erano tra i più straordinari pittori al mondo e mi avevano preceduto di pochi anni. Cos'altro potevo fare? Come potevo realizzare qualcosa di davvero nuovo?»: da queste domande prosegue il racconto del protagonista che ha cercato di assimilare e unire lo stile dei pittori ammirati per creare qualcosa di nuovo, attraverso la sua forza immaginativa, il tratto (simil) espressionista della sua pittura, oltre e forse soprattutto all'originalità assoluta con cui seppe interpretare le iconografie tradizionali.La pellicola cerca di carpire i suoi pensieri e i segreti della sua tecnica, inquadrando il contesto storico e politico anche attraverso gli studi e le parole di importanti esperti. Il lato, però, più affascinante è come la macchina da presa vada a scavare nelle opere, sottolineandone i dettagli e analizzandone il ruolo all'interno del paesaggio urbanistico dei palazzi di Venezia.
Paul Cézanne
A tal proposito, Paul Cézanne disse che si sarebbe trasferito a Venezia soltanto per lui, evidenziando che: «La sua opera è immensa, include ogni cosa dalla natura morta fino a Dio: è un’enorme arca di Noè».
L'ultima immagine pittorica, prima dei titoli di coda, è il magnifico dettaglio degli occhi del suo autoritratto, accompagnati da parole che svelano perfettamente il suo animo tormentato e ambizioso: «Cosa ho fatto io alla pittura? Mi resisteva… l'ho uccisa».
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