Tod’s ed Emporio superano le tendenze
di Angelo Flaccavento
3' di lettura
L’arrivo di un nuovo direttore creativo crea un senso di grande aspettativa, che il marchio sia piccolo o grande poco importa. La storia recente della moda - Gucci, Bottega Veneta - ha fatto assurgere illustri sconosciuti - al momento della nomina, sia chiaro - al ruolo di autentici Re Mida.
La terza giornata di sfilate milanesi si apre con il debutto di Walter Chiapponi - quarantenne, di gran mestiere, con un pedigree di tutto rispetto che va da Armani a Prada a Bottega Veneta - al timone di Tod’s e di T Factory, il laboratorio creativo voluto da Diego Della Valle per creare pensiero e azione intorno al marchio. È un debutto intelligente, per nulla urlato e ben assestato. Non una disruption, per usare l’odioso neologismo, ma una evoluzione che puntando su idee di buon gusto e classicismo afferma una identità precisa, italiana nel tono e nell’esecuzione, ma per nulla angusta. «Ho voluto portare un po’ di sensualità nel mondo Tod’s, che in passato trovavo piuttosto freddo» spiega Chiapponi, che, mai plateale, ottiene l’effetto con sottigliezza: scoprendo un po’ di pelle con le gonne corte; dando ai cappotti una mano goduriosa. Crea un guardaroba di pezzi indispensabili, e invita a giocarci. Non fa moda con la M maiuscola, e la scelta di un sottotono raffinato ma non rinuciatario lo premia. Il messaggio è chiaro: lontano dalle tendenze.
È della stessa idea Giorgio Armani che, a conclusione dello show Emporio Armani afferma a gran voce: «Le tendenze non esistono più, ciascuno può fare quel che preferisce e le donne stesse possono vestirsi come vogliono». Se lo dice un creatore rigoroso e preciso come Armani, c’è da crederci. La frammentazione è l’essenza del contemporaneo, dopo tutto, e la collezione, a proposito, è frammentata: dal corto al lungo, dalle rouche iperfemminili agli jabot da dandy, c’è molto, ma con un disegno preciso che si polarizza sugli estremi del maschile e femminile - eterno dualismo Armaniano. Il tailoring liquido è quello per cui si ama Armani, ma a sorprendere sono gli abitini spumeggianti di volant, gli shorts orlati di pizzo: capi inattesi, e quindi benvenuti, nel mondo di Armani, che superati gli ottanta non smette di evolversi.
Da Marni la frammentazione è evidente e dilagante: attacca le superfici, le plasma in un dilagare di collage e di patchwork che avvolge ogni cosa. La collezione è un’ode al do it yourself, dall’inizio alla fine. Poche forme - cappotto, abito corto o lungo, cardigan - modellate a manichino unendo scampoli di ogni sorta, dalle pelli metallizzate ai broccati sontuosi. La perizia dell’esecuzione è encomiabile, e così il lavoro sugli oggetti, sempre schiacciati, distorti, manipolati. Eppure, in passerella la vitalità gioiosa di solito associata al patchwork è come smorzata. Forse è la scelta di colori bassi e neutri; forse sono il trucco e i capelli - colate di glitter come dopo una notte di festeggiamenti selvaggi. Francesco Risso esce correndo alla fine dello show vestito come il bianconiglio di Alice, come a dire che la fuga dalla realtà è intenzionale.
Da Sportmax c’è la luce: è un futuro luminoso, invocato in un mix di capispalla dal disegno architettonico e abiti liquidi, di tuxedo scintillanti e drappeggi metallici; evocato dai dettagli di specchio. L’equilibrio convince, anche se rigido.
Veronica Etro è solare e positiva per natura, ma questa stagione sfila in una scatola nera che soffoca non poco: chiude gli orizzonti, che è l’esatto contrario di un marchio che invece parla solo di confini aperti, di metissage panculturale. Quello per fortuna c’è in passerella, ed è leggero e seducente come da copione.
Marco de Vincenzo ingrandisce e sproporziona, con verve ed eleganza, confermandosi una delle voci più interessanti della sua generazione. Anche Nicoletta Spagnoli, da Luisa Spagnoli, ha un piglio sicuro: modernizza l’estetica del marchio rispettando l’essenza e l’eleganza. Da Versace, in fine, Donatella Versace, in uno show co-ed dalla regia inesorabile e avvolgente, estremizza la femminilità proterva e la mascolinità dionisiaca della maison, ricapitolandone i segni in un miscuglio di tailoring, sport e glamour che è enciclopedico e impattante.
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