Toni Belloni: «Siamo entrati in una fase di sana normalizzazione della crescita»
Il managing director di Lvmh sottolinea la centralità dell’Italia nelle strategie del primo player al mondo dell’alta gamma, nel giorno dell’acquisto della fabbrica di Safilo
di Giulia Crivelli
3' di lettura
Orgogliosamente italiano di nascita, ma altrettanto orgogliosamente parigino d’adozione, Toni Belloni (nella foto qui sotto) è il manager più vicino e più ascoltato da Bernard Arnault, fondatore, presidente e ceo di Lvmh, il più grande gruppo del lusso al mondo. Ieri Thélios, società eyewear di Lvmh, ha completato l’acquisizione da Safilo dello stabilimento di Longarone (Belluno). Un’operazione della quale Belloni va molto fiero (nella foto in alto, la sfilata Louis Vuitton di luglio sul Pont Neuf di Parigi, che online è stata vista da un miliardo di persone).
Cos’ha di speciale questa acquisizione per un gruppo che, in particolare nelle diverse filiere produttive del lusso, ne annuncia quasi una al mese?
Ogni acquisizione è strategica per Lvmh e si inserisce in un quadro più ampio di crescita in ogni mercato e categoria di prodotto. Prima della nascita di Thélios, per gli occhiali le maison del gruppo avevano in gran parte accordi di licenza e quasi sempre con le eccellenze italiane del settore. Internalizzare la creazione, produzione e distribuzione ci ha permesso di crescere più velocemente: da qui la necessità di acquisire capacità produttiva. Con l’operazione Safilo vinciamo tutti e in primis i lavoratori e la tradizione di eccellenza del distretto.
Che piani avete per il futuro della “nuova” Thélios?
L’acquisizione dello stabilimento Safilo, contiguo all’attuale manifattura Thélios (nella foto in basso), consente la nascita di un campus, come mi piace chiamarlo: i due siti produttivi saranno collegati da sinergie operative e industriali. A regime, Thélios darà occupazione ai 247 lavoratori assorbiti, che si aggiungeranno agli attuali oltre mille dipendenti sul territorio.
Lei ha detto spesso che l’Italia è la seconda patria di Lvmh. Ce lo conferma con qualche numero?
Oltre alle sei maison italiane che fanno parte del gruppo (Bulgari, Fendi, Loro Piana, Acqua di Parma, Emilio Pucci e Berluti, ndr), Lvmh ha 35 manifatture che producono in Italia: parlo di tessuti, accessori, abbigliamento, pelletteria, calzature, gioielleria, eyewear. Lo fanno per le maison italiane ma anche per Louis Vuitton, Dior, Celine, Givenchy, solo per fare alcuni nomi. In Italia abbiamo circa 13mila collaboratori, il 50% dei quali sono artigiani esperti e negli ultimi anni abbiamo investito quasi 200 milioni. All’anno, intendo.
Cosa rende speciali e preziose le aziende in cui avete investito?
Ciascuno dei 35 siti produttivi è radicato all’interno di quegli ecosistemi unici che sono i distretti industriali italiani. È qui che si trovano e si possono formare mani artigianali senza pari. E sempre qui si trova un larghissimo indotto di aziende fornitrici e partner. Le manifatture principali fanno, inoltre, da capofila a circa ulteriori 5mila imprese fornitrici distribuite sul territorio italiano.
Le recenti iniziative di Lvmh per reclutare giovani fanno capire che, come gruppo, vedete ulteriori margini di crescita. Ma con che ritmi, sempre a doppia cifra?
Dopo il Covid, c’è stato quello che definisco “consumo euforico” di beni personali di lusso. Da qui le crescite a due cifre di Lvmh e di altri protagonisti del settore, che, ricordiamolo sempre, cresce di fatto ininterrottamente da 20 anni, nonostante l’11 settembre, la crisi da Sars in Asia, il crollo di Lehman Brothers, il Covid e la costante incertezza geopolitica globale. Ora siamo entrati in una fase di normalizzazione della crescita: nel breve periodo, in media, penso che sarà del 5-6%, anche se ovviamente all’interno del settore dell’alta gamma ci saranno differenze e Lvmh conta di proseguire a un tasso superiore a quello del mercato.
In tempi di grande attenzione alla sostenibilità, al suono di frasi, o forse slogan, come “consumare meno ma meglio” dove vedete i margini di crescita per i diversi marchi?
L’obiettivo è aumentare le quote di mercato nei Paesi dove siamo già: è possibile solo coltivando l’eccellenza e la desiderabilità di tutto quello che creiamo e produciamo e senza l’Italia non sarebbe possibile farlo. Per questo giriamo il Paese per raccontare ai giovani e alle loro famiglie le opportunità di lavoro che offriamo. Per il 2023, l’obiettivo era attrarre mille persone e lo stesso numero vale per le persone che vorremmo reclutare nel 2024.
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