Tonitto pronto a portare i gelati in Germania e Gran Bretagna
Dopo lo sbarco in Corea del Sud e Canada e le certificazioni kosher per raggiungere Israele, Francia e Stati Uniti, l’azienda genovese punta sui manager per crescere all’estero grazie anche alle fiere
di Monica Zunino
3' di lettura
Dopo lo sbarco in Corea del Sud e Canada e la certificazione appena ottenuta per gelati e sorbetti kosher, cioè prodotti realizzati seguendo le regole alimentari della religione ebraica, per entrare non solo nel mercato israeliano ma pure francese e statunitense, Tonitto 1939 scommette ancora su una crescita a doppia cifra anche per il 2023 e 2024, sostenuta anche da una managerializzazione dell’azienda. Il nuovo piano strategico sarà pronto a fine anno, ma nel mirino ci sono già Germania e Gran Bretagna con alcuni dialoghi avviati e molto interesse per America Latina, Sud Africa e Medio Oriente, oltre che per un ritorno in Cina, dopo la pausa forzata per il Covid.
L’azienda genovese, leader in Italia per il sorbetto e il gelato senza zuccheri aggiunti, esporta già in 35 Paesi. Nata nel 1939 come laboratorio di gelateria artigianale, fondata da Antonio Dovo, il Tonitto del marchio, nonno degli attuali proprietari, Luca e Massimiliano Dovo, ha chiuso il 2022 con un fatturato di 12 milioni di euro, il 13% in più dell’anno precedente, con un aumento di vendite del 30% di sorbetti e gelati private label, cioè realizzati per diversi partner della grande distribuzione in Italia e all’estero, che pesano per il 70% sul fatturato rispetto al 30% dei prodotti a brand Tonitto 1939. Il 2023 ha segnato l’avvio, accanto alle linee già consolidate, della produzione di sorbetti e gelati bio, il lancio del gelato proteico e il conseguimento della certificazione kosher.
«L’azienda sta crescendo - spiega Alberto Piscioneri, general manager e commercial director di Tonitto - e negli ultimi tre anni siamo passati da 8 a 12 milioni di fatturato: numeri interessanti anche se, dall’altra parte, abbiamo subito un aumento dei costi pesante, dall’elettricità al latte, con lo zucchero raddoppiato e il gas, la logistica e i trasporti che hanno eroso i margini. Con il 2023 si è esaurito il piano strategico in corso e stiamo scrivendo quello nuovo, legato anche al processo di managerializzazione avviato per un’organizzazione che renda sostenibili le aspettative di crescita, ancora a doppia cifra, dal 2024 in avanti. Insieme a questo percorso abbiamo tre driver per la sostenibilità a 360 gradi del conto economico: più volumi, prezzi e mix di prodotti».
Oggi il fatturato è diviso all’incirca a metà fra Italia (55%) ed estero (45%). «Negli ultimi tre anni il fatturato dell’export è passato da 3 a 6 milioni, mentre l’Italia, che si attestava sui 5 milioni, nel 2022 ha chiuso a 6, in crescita, ma più stabile. Da quest’anno però si sono rimescolate le carte e su tanti progetti che erano stabili, legati in particolare alle private label, vediamo più dinamismo che apre, in prospettiva, anche per noi ottimi dialoghi. Sull’estero abbiamo una pipeline molto intensa di nuovi progetti, soprattutto su nuove geografie, attraverso le fiere, canale su cui investiamo molto. Ad esempio tornare in Cina è uno dei fronti aperti. Prima del Covid avevamo un progetto che purtroppo si è interrotto. Sulla Russia, dove eravamo prima della guerra in Ucraina, vedremo come andranno le cose. Poi siamo partiti con la Corea e ci aspettiamo possano riprendere i dialoghi in Paesi come il Vietnam o il Giappone e tutta la parte del Far East che negli ultimi anni è rimasta poco servita».
L’Europa? «Siamo presenti in quasi tutti gli Stati e particolarmente in Norvegia, Svezia e Danimarca Ci manca la Germania, un mercato molto grande ma dove c’è molta sensibilità al prezzo; abbiamo avviato dialoghi, così come in Gran Bretagna, che speriamo di concretizzare, almeno in parte, nel prossimo anno. E l’altro fronte, fuori dall’Ue, è guardare a geografie con stagionalità al nostro opposto: America Latina, Sudafrica o Middle East».
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