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Tortorici (EY): «Credito in calo con le nuove regole, serve un’alleanza fra banche e Pmi»

Il senior partner strategy & transactions di EY in Italia: «Il banking di relazione è finito, per avere finanziamenti le imprese devono patrimonializzarsi adeguatamente»

di Alessandro Graziani

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3' di lettura

«L’erogazione del credito bancario è in calo, anche i dati ufficiali Bce confermano le sensazioni. Nel corso degli anni la regolamentazione bancaria europea è stata costruita per economie “normotipo” di grandi imprese e grandi banche, senza specificazioni per medio-piccoli. Per contrastare questo trend critico serve una forte e leale cooperazione tra banche e imprese, una sorta di “schiena contro schiena” di mutuo beneficio e convenienza». A lanciare l’allerta sui rischi prospettici dell'ormai ufficiale calo del credito alle Pmi, resi noti a luglio da Bce a livello europeo e confermati da Bankitalia per il nostro Paese, è Vincenzo Tortorici, senior partner strategy & transactions di EY in Italia. Il suo ragionamento, in questo colloquio con Il Sole 24 Ore, parte dalla constatazione di quanto accaduto nell’ultimo anno sul fronte dei prestiti. «Le imprese hanno reagito all’incremento dei tassi, che sulle nuove erogazioni sono saliti in media dall’1,4% al 4,9%, e alla “brutta aria” tra mera incertezza e pre-recessione contraendo drasticamente fino ad azzerare gli investimenti e di conseguenza il credito per finanziarli».

Non è un fenomeno già visto in situazioni analoghe dei decenni precedenti?
Solo in parte, perché inizia a pesare strutturalmente anche l’incrocio “maledetto” tra regolamentazione bancaria europea sempre più stringente in ambito creditizio ed economia reale italiana di micro e medie imprese.

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Cosa c’è che non va nelle nuove regole?
Si tratta di un impianto regolamentare che si presuppone sotteso da un template (anglosassone o nordeuropeo) di economia industriale “di giganti”, con grandi aziende ad azionariato diffuso che fronteggiano grandi istituti bancari. L’applicazione di quelle regole disegnate con in mente i grandi conduce inevitabilmente - come conclamano i numeri - sul sentiero della progressiva contrazione del credito per piccoli e medi.

Le nuove regole, a partire dalla nuova Basilea, sono recenti. Crede davvero che sia possibile cambiarle?
Velleitario pensare di cambiarle o influenzarle. La cavalcante evoluzione tecnocratica degli ultimi anni ci ha insegnato in vari ambiti che a nulla serve, anzi peggiora la situazione, lanciare strali contro il regolatore europeo o strillare la propria “unicità” sperando di ottenere deroghe. Più pragmatico giocare secondo le regole del gioco, ma adeguandosi ai tempi e al contesto».

Lei suggerisce un’alleanza tra banche e imprese. Operativamente, cosa dovrebbe accadere?
A mio avviso le banche devono prendere atto del fatto che il capitale è risorsa scarsa e che va utilizzato per prestare ma in modo sempre più consapevole. Nel nome dell’abusato “banking di relazione”, fonte in passato di non pochi mali del sistema, le banche vengono da un lungo e mai veramente abiurato passato di gestione del credito per volumi, in cui non solo il cliente andava soddisfatto nel suo bisogno di finanziamento, ma andava sempre e comunque soddisfatto nella struttura, termini e condizioni desiderate, mirando a non perdere neanche un ticket di business a prescindere da quanto esso fosse effettivamente remunerativo per la banca. La regolamentazione bancaria attuale (e prospettica) rende sempre meno praticabile e possibile questo approccio, perché - semplifico - rende “inimpiegabile” capitale non congruamente remunerato.

E quindi che cambiamento sarebbe necessario?
Le banche devono passare a una logica di soddisfazione del cliente con forme tecniche e termini e condizioni in economicità per la banca questo cambio di passo avrebbe implicazioni abbastanza dirompenti nel modo di “far banca” quotidiano, per le reti e per l'innovazione di fabbrica, anche usando ricorrentemente capitali di terzi.

E le aziende?
Credo che anche le aziende debbano fare la loro parte, con pragmatismo. In primis, partendo da una genuina presa d’atto che l’era in cui il “banking di relazione” poteva efficacemente essere interpretato dalle imprese come presupposto per ottenere quel che si vuole alle condizioni desiderate è da tempo finito, e per motivi esogeni alle banche e non aggirabili. Le imprese devono essere consapevoli che, per avere credito, devono patrimonializzarsi adeguatamente. Ma anche dotarsi di un impianto contabile, di reporting e di trasparenza documentale che consenta alle banche di finanziarle. E poi è necessario andare oltre l’italianissima multi-bancarizzazione - culturalmente erede del divide et impera - concentrando i rapporti e tutto il business su una/due house bank. Aggiungo che serve anche più apertura al credito di mercato in tutte le sue forme e al private debt. È evidente che ciò “costi di più” sotto vari profili, ma i fatti indicano ormai l'impellenza di fare di necessità virtù, per una semplice progressiva carenza di alternative.

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