Torture in Questura, il rischio di prassi devianti e l’influenza del clima politico
Le forze dell'ordine, come altre branche della pubblica amministrazione, tendono a percepire quasi d'istinto, qual è il clima politico del momento, adattandovisi. Ad esempio, i fatti più efferati durante il G8 di Genova del 2001 sono stati compiuti con la destra al governo
di Carlo Melzi d'Eril e Giulio Enea Vigevani
3' di lettura
A Verona alcuni poliziotti sono stati arrestati poiché, da quanto emerge dagli atti dell'inchiesta, sarebbero responsabili di atti di violenza gratuita nei confronti di migranti, tossicodipendenti e senza tetto in loro custodia. Saranno le indagini, ovviamente, a ricostruire fatti e responsabilità ma, dai primi elementi filtrati, sembra di trovarsi di fronte al sistematico - o per lo meno non casuale - uso della sopraffazione.
Ora, non vi è dubbio che qualunque utilizzo ingiustificato della forza su persone inermi esercitata da rappresentanti dello Stato sia particolarmente odiosa. Come è stato giustamente detto, l'unica differenza fra la violenza del ladro e quella della guardia è la divisa. A chi la indossa ciò è consentito solo nei limiti rigorosamente definiti dalla legge, e gli abusi sono particolarmente gravi, tanto che la Costituzione chiede espressamente di punire «ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà».
L'approfittarsi della possibilità di incidere sulla autodeterminazione delle persone, giungendo a imporre loro soprusi immotivati e che sembrano sorgere soltanto dal mero gusto di esercitare un potere che “faccia del male ai diversi”, significa tradire la ragione più profonda che viceversa in una società democratica consente alla polizia l'utilizzo della costrizione. Quest'ultima deve essere un'eccezione, indispensabile per la salvaguardia di beni giuridici di primaria importanza e secondo precise “regole di ingaggio”. Al di fuori di esse, la violenza è ancor più da condannare.
Se questo è il contesto, per così dire culturale e di principio che ha determinato l'introduzione dei delitti previsti in casi del genere - anche quello di tortura di recente approvazione - e che verranno applicati se del caso ai protagonisti di questa vicenda, la notizia, non isolata, di simili episodi suggerisce un paio di riflessioni.
Il rischio di prassi devianti
La prima, ricordata anche da Luigi Manconi, è che negli ambienti chiusi e dotati di una rigida disciplina o una forte caratterizzazione identitaria è più probabile l'insorgere di prassi devianti.
In tali ambienti, la vita quotidiana rischia di essere retta da regole non scritte, in frontale contrasto con i diritti di libertà, eppure generalmente tollerate. Si pensi al nonnismo nelle caserme, alle sopraffazioni nelle carceri e nei po-sti di polizia, fino alla goliardia più spinta nei collegi.
In luoghi simili è come se vi fosse una sorta di sospensione dei diritti vigenti altrove. E ciò in nome di un malinteso spirito di corpo che, pur nella propria vaghezza pare essere in cima alla gerarchia delle fonti del diritto.
L’influenza del clima politico
La seconda: le forze dell'ordine, come altre branche della pubblica amministrazione, tendono a percepire quasi d'istinto, qual è il clima politico del momento, adattandovisi. Ad esempio, i fatti più efferati durante il G8 di Genova del 2001 sono stati compiuti, con la destra al governo, forse anche perché alcuni ritenevano, a torto o a ragione, che i vertici dell'esecutivo avrebbero comunque fornito un appoggio incondizionato alla “polizia”.
Anche oggi questa narrazione sembra quella più in linea con la attuale maggioranza politica, dunque può essere possibile che, ora come allora, si stia diffondendo un senso di minor autocontrollo nell'uso di tecniche di coercizione. E ciò si badi, indipendentemente dalla effettiva volontà del potere in questo senso.
Come evitare le derive
Come evitare, dunque, queste due ipotetiche “derive”? L'unica strada, nel breve periodo, sembra quella della massima trasparenza, che consenta una ricostruzione il più possibile dettagliata di quanto accaduto e delle connesse responsabilità. Nel medio e lungo periodo, invece, è necessaria una profonda opera di formazione delle forze dell'ordine, dai gradi più alti dei dirigenti a quelli di minore responsabilità, sui contorni dei diritti dei singoli sottoposti a restrizioni e sulla funzione e sui limiti dell'azione della polizia. Le prese di posizione pubbliche dei vertici dell'amministrazione e della politica debbono all'evidenza andare di pari passo.
Ma se il livello di educazione civica delle dichiarazioni è quello delle ultime espresse dal ministro per le infrastrutture che (chissà perché?) ha ritenuto di appellare “bastardo” l'autore di un crimine efferato, sperando che “marcisca in galera fino alla fine dei suoi giorni”, siamo facili cassandre nell'affermare che stiamo andando esattamente nella direzione opposta.
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