Tour de France, Fabio Aru si arrende all’Izoard. Froome sempre più in giallo
di Dario Ceccarelli
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Nel giorno dell'Izoard, cadono le ultime illusioni di Fabio Aru. In questo paesaggio brullo, che ha visto i trionfi di Bartali e Coppi, il capitano dell'Astana capisce che qui non ci sarà nessuna rivincita. E che il suo sogno di salire sul podio di Parigi finisce in questo strano deserto a 2360 metri di quota. C'è tanta folla, tanti cori e allegria per tutti, ma non per Aru, colpito anche da una lieve bronchite.
Nel giorno più difficile, Fabio è solo. Abbandonato anche da una squadra che prima manda quattro compagni all'attacco e che poi lo lascia senza difesa nel momento decisivo. Una tattica suicida quella dell'Astana. Che aggiunge sale alle ferite del sardo. Respinto dalla Montagna del Mito, Aru retrocede al quinto posto, preceduto anche da Landa, a quasi due minuti dal Chris Froome, ormai sempre più padrone del Tour de France insieme al Team Sky.
Certo, prima del suo quarto trionfo sabato c'è ancora la cronometro di Marsiglia, in cui il britannico più che da Bardet (secondo a 23 secondi) dovrà guardarsi da Rigoberto Uran, terzo in classifica a 29” ma più temibile nelle prove a cronometro.
Ma intanto il peggio è passato. Le montagne sono alle spalle e ora Froome deve gestire il suo vantaggio. Che non è molto, ma neppure poco, per un tipo abituato a confrontarsi in queste sfide.
Nel giorno più nero di Fabio ride invece il francese Warren Barguil, vittorioso davanti ad Atapuma e Bardet. Il francese, maglia pois del Tour, si era già imposto sui Pirenei a Foix, ma questa impresa gli conferisce la laurea sul campo nella più prestigiosa Università del Ciclismo, frequentata da una galleria di campioni che di solito, su queste pietre color seppia, dà poca confidenza agli ultimi arrivati. Un bel salto di popolarità, per Barguil, reso ancor più evidente dopo il convinto abbraccio del presidente Macron a Serre Chevalier.
Sconsolato ma orgoglioso, Aru invece racconta la sua sconfitta senza cercar scuse: «Da quando ho preso la maglia gialla, sono stati giorni difficili... Sono già contento per dove sono arrivato, visto come sto. Ora penso a finire questo Tour... Comunque sia fa parte dello sport avere anche dei problemi fisici. L'importante è sapere di aver lavorato bene durante i mesi scorsi: non era facile dopo un infortunio come il mio tornare a questi livelli».
Queste le parole di Aru, che ovviamente lasciano molti mugugni sottotraccia. Molte cose infatti, nelle scelte dell'Astana, non hanno convinto. Va bene gli infortuni, che hanno decimato il team di Vinokourov, ma in questo caso è proprio mancato quel minimo di supporto che una squadra deve offrire al suo capitano quando è in lotta per una maglia gialla. Può darsi che, in sfavore di Aru, abbiano giocato anche le ultime voci di divorzio, voci che lo danno sempre più vicino alla squadra di Beppe Saronni. Può darsi. Ma sarebbe uno strano harakiri collettivo.
Molto più probabile che, alla fine, siano state le non brillanti condizioni di salute a far naufragare il sogno del sardo. A questi livelli l'orgoglio non basta. Ci vogliono le gambe e una squadra, come Sky, in grado di sostenerti nei momenti più difficili. Come è capitato a Froome in diversi episodi di questo Tour. Uno fra tutti quando il britannico ha forato a 37 chilometri dal traguardo nella tappa del Massiccio Centrale. Un incidente che avrebbe potuto cambiare il corso del Tour e che, invece, grazie al supporto dei compagni si è risolto in pochi minuti. Una maglia gialla la si vede anche da questi particolari.
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